Gremita, ieri pomeriggio, la sala del Collare del castello Chiaramontano, per la presentazione, su iniziativa dell’ Associazione Liberarci, del libro di Giacomo La Russa “I sepolti vivi – La rivolta della Ciavolotta”.
La presentazione del libro di Giacomo La Russa “I sepolti vivi- La rivolta della Ciavolotta” ha fatto registrare, ieri pomeriggio, un gran numero di presenze.
L’evento si è svolto su iniziativa dell’ass.ne LiberArci, per la presidenza di Vincenzo Cassaro che, prendendo la parola subito dopo i saluti e l’intervento del sindaco Antonio Palumbo, ha sottolineato l’importanza di dare uno sguardo al passato per poter comprendere il nostro futuro. Cassaro ha ringraziato l’autore per averci fatto rivivere le tensioni morali, sociali e politiche di quello straordinario evento che a favara è noto come “a Sirrata”: 27 minatori che, lottando anche per i 41 compagni che non avevano avuto il coraggio di ribellarsi al “padrone”, hanno ridato dignità alla loro condizione di Uomini ed anche a tutta Favara che sosteneva la loro lotta.
Pasquale Cucchiara (direttivo Arci Agrigento), moderatore dell’incontro, ha sottolineato che il discutere di fatti concernenti la miniera Ciavolòtta significa riflettere sul tessuto sociale, politico e civile di Favara e, conseguentemente, rendere onore alla memoria dei nostri nonni che hanno dovuto lavorare nelle viscere della terra, ma ci offre anche l’opportunità di affrontare temi di estrema attualità legati al lavoro, rivendicazioni operaie e sicurezza.
Il critico letterario Antonio Patti ha offerto una descrizione della struttura dell’opera; secondo il suo parere è possibile individuare 3 parti nel romanzo di Giacomo la Russa: la descrizione delle condizioni (disumane) in cui erano costretti a lavorare gli operai, il momento dell’uscita dalle viscere della terra ed un’ultima parte che fa da cerniera tra le prime due. Ha accostato, per certi versi, “I sepolti vivi-La rivolta della Ciavolotta” di Giacomo La Russa, al romanzo “Canale Mussolini” di A. Pennacchi, vincitore del premio Strega 2000, in cui si narrano le vicissitudini di una famiglia di agricoltori, i Peruzzi.
E’ stata la volta di Salvatore Ferlita, giornalista, scrittore, professore associato di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università degli studi di Enna Kore, collabora a “la Repubblica” (edizione siciliana) e al mensile “Segno”. E’ un libro… strano – ha esordito- Giacomo non ha voluto “solleticare i palati più facili”. Un libro che ne ricorda due molto datati, uno, Cuore, del 1949 e uno del 1955 “La miniera occupata” di di Angelo Petix che vi scrive “Uomini sono loro e uomo sono io; pensano e soffrono loro, penso e soffro io. Pure (…) per loro io non sono che una bestia da soma, uno schiavo“. Ferlita paragona Giacomo La Russa ad un palombaro che si cala nella storia e lo fa usando un linguaggio chiaro, senza fronzoli. Questo romanzo – ha aggiunto- è un lavoro di immedesimazione, di mimetismo, un’opera di demistificazione: ricostruisce un’esperienza che ha segnato la vita dei favaresi trasformando un racconto relativo in qualcosa di assoluto. Ferlita ha anche sottolineato che nel libro viene anche descritto molto bene, nelle pagine relative al processo che subiranno gli operai, il rapporto esistente tra diritto e giustizia e questo- ha evidenziato-fa di esso un’opera profondamente sciasciana; Sciascia, infatti-ha spiegato- descrive la fragilità del cittadino dinnanzi a norme costruite a difesa di chi detiene il potere, “C’è solo il fallimento-scriveva Sciascia-la legge sta dalla parte del più forte”.
Amo la letteratura essenziale, ha affermato Giacomo la Russa, lo scopo della letteratura- ha aggiunto- è mantenere in vita ciò che, altrimenti, scomparirebbe, è scavare, portare alla luce ciò che è… sepolto, come la storia dei sepolti vivi; a distanza di settant’anni “il testo intende ridare voce a chi è ormai dimenticato nella consapevolezza che, per tanti, la battaglia per la vita continua ad essere il tema di ogni giorno”
Gianna Drago, Lara Iacono e Sara Chianetta, facenti parte del Centro Studi Antonio Russello di Favara, hanno letto alcuni passi del romanzo.
Non sono mancate le parentesi artistiche ad allietare l’evento: Noemi Lupo (LiberArci), accompagnata con la chitarra da Francesco Porretta, ha cantato una versione rivisitata di “Vitti na crozza”, brano intonato dagli operai quando, dopo cinque mesi di buio, emergono dalle viscere della terra ed inoltre Antonio Zarcone (chitarra) e Giuseppe Maurizio Piscopo (fisarmonica), hanno eseguito e cantato loro composizioni originali sui minatori.
In coda, alcuni brevi interventi fuori programma, tra cui quello di Carmelo Antinoro che ha aggiunto delle notazioni storiche.