Di Paolo Licata
Così singhiozzava l’imperatore Cesare Ottaviano Augusto mentre attraversava i lunghi corridoi del Palatium che fiero sorgeva sull’omonimo colle romano. Purtroppo Varo non poteva sentire la straziante invocazione: egli era ormai deceduto da qualche giorno, perché, distrutto dalla vergogna per la sconfitta militare inflitta alle legioni romane dalle tribù germaniche dei Cherusci, comandate da Arminio, si era offerto in olocausto al gladio di un centurione.
Publio Quintilio Varo, esponente di spicco della famiglia patrizia Quintilia, nacque intorno al 46 a.C., e sin da giovane entrò nelle grazie dell’imperatore Ottaviano che gli consentì di scalare rapidamente le vette della vita politica e militare, divenendo financo nell’anno 7 governatore della Germania occupata al di qua del Reno.
Ma la sua gestione politico-amministrativa, sempre più famelica e vessatoria, di quei popoli, da anni soggiogati all’impero romano, costretti a fornire viveri in quantità al suo esercito e a pagare imposte sempre più insostenibili, si rivelò molto presto fallimentare e pericolosa, tanto da risvegliare lo spirito di riscatto e di rivolta mai sopito di quelle genti che, guidate da Arminio, ex ufficiale della riserva germanica, si ribellarono furiosamente, tesero una trappola alle tre legioni romane di Varo nella foresta di Teotoburgo e le sterminarono quasi totalmente.
Lo stesso governatore, per il rimorso e la vergogna di avere provocato con il suo modo di amministrare la provincia poco conciliante e poco oculato ma molto sbrigativo e molto repressivo, la morte di ben oltre 15mila dei suoi uomini, si fece “suicidare” da un centurione.
Narra Svetonio (Vita Divi Augusti) che quando l’augusto imperatore ricevette la notizia dello sterminio dei soldati di ben tre legioni romane, dei loro capi, ambasciatori ed ausiliari, fu assalito non soltanto da un indicibile sgomento ma anche dalla forte preoccupazione che i cittadini romani potessero insorgere per la gravità delle perdite subìte. Racconta ancora che l’imperatore fosse così addolorato che per parecchi mesi tenne la barba e i capelli raccolti, e qualche volta mostrasse la testa alla porta, piangendo: “Quintilio Varo, restituiscimi le legioni! e il giorno della sciagura, quanto era stato triste e doloroso”.