Giuseppe Maurizio Piscopo
In una via del centro storico di Favara, dove pare che il tempo si sia fermato, ho avuto il piacere di incontrare Tommaso Zambito Marsala che per molti anni ha fatto il sarto. E’ una persona speciale che mi accoglie con un sorriso. Tommaso ha mille storie da raccontare su questo nostro paese bizzarro.
Quando hai iniziato a fare questo mestiere?
Ho cominciato all’età di 6 anni. E nella mia vita ho fatto sempre il sarto.
Da chi hai appreso la professione?
Da mio cugino Francesco Zambito Marsala.
Sei mai stato all’estero?
Si sono partito per la Germania all’età di quattordici anni e mezzo. Dovevo andare a lavorare in fabbrica e non mi hanno preso perché ero minorenne. L’anno successivo a 15 anni e mezzo mi hanno preso ed ho lavorato per un periodo, come sarto in fabbrica, un lavoro molto diverso da quello che si svolge in una sartoria.
Parli il tedesco?
Quand’ero in Germania lo parlavo discretamente, ora non lo parlo più, con le lingue occorre la pratica giornaliera .
Quanti sarti c’erano a Favara ai tuoi tempi?
C’erano almeno 50 sartorie nel 1960 /61 perché all’epoca non c’era la confezione.
Dal sarto si facevano i vestititi di sana pianta?
All’epoca questo era, i clienti portavano la stoffa e noi prendevamo le misure e facevamo il resto.
Quanto tempo occorreva per completare un vestito?
In linea di massima tre, o quattro giorni.
Che mi puoi dire delle scuole di taglio e cucito che c’erano a Favara per le ragazze che avevano smesso di studiare?
Taglio e cucito si può fare se prima una sa cucire, c’erano tante ragazze che a cucire non erano molto brave, però seguivano il taglio ed erano convinte di essere sarte. Comunque erano esperienze importanti per le giovani ragazze.
Che cosa occorre per fare un buon sarto?
Ci vuole tanta passione! E’ un mestiere che anzitutto deve piacere. In sartoria c’erano fino ai sei giovani praticanti, di questi nasceva un sarto o al massimo due. Gli altri non riuscivano ad andare avanti perché non erano portati o non avevano le qualità, fare il sarto non è un mestiere semplice ci vogliono tante cose. La sartoria di per sé è un’arte!
Si suonava nelle sartorie di Favara?
No, nella mia sartoria non si suonava, ogni tanto nelle feste di Natale si faceva qualche partita a carte.
Mi racconti qualcosa di Pispicheddru un importante sarto favarese prima che partisse per la Merica. Ti ho raccontato più volte che sono andato da lui per apprendere il mestiere di couturière per signora e mi volevo trasferire a Parigi, ma la mia professione è finita il giorno in una partita a zichinetta donna cavallo e re. Quel giorno Pispicheddru ha perso tutto!
Personalmente non l’ho conosciuto, ne ho sentito solo parlare. Era veramente famoso tra i sarti e non solo. In quel tempo, ogni giorno facevo due cose, andavo a scuola e dal sarto. Primo giorno di scuola e primo giorno di sartoria, mio cugino abitava vicino casa mia. Nel 1961/62/63 nelle sartorie non si andava soltanto per imparare un mestiere, i più giovani nei tre mesi di ferie andavano dal barbiere, dal falegname, dal sarto. Chi andava in sartoria sapeva che qui si lavorava e non era come andare dal barbiere se c’è la testa travagli se non c’è la testa non lavori, in sartoria ti portavano le stoffe e dovevi lavorare per forza. E molti ragazzi questo mestiere non volevano farlo, perché erano molto impegnati. La sartoria era anche un ritrovo serale, di muratori, falegnami, artigiani. Non è come adesso!Allora si aveva più tempo per se stessi!
Ti è mai successo qualche fatto curioso,del tipo che è venuto un tizio a fare tutte le prove del vestito e poi non l’ha ritirato?
Prima di andare all’estero, avevo 14 anni non avevo potuto studiare e sono scappato da Favara. Dopo Natale è venuta una persona particolare, mi ha detto, che gli avevano fatto la giacca con la manica lunga, io e mio cugino che poi era mio padrino abbiamo notato che la manica era perfetta e non aveva bisogno di niente. Ma lui insisteva, me la dovete accorciare, poco poco, di sei millimetri. Per farlo contento gli abbiamo detto di si. Dopo Natale, forse era passato pure il capodanno, quella manica era perfetta e noi non l’abbiamo accorciata. Dopo un paio di giorni il giovane è tornato a chiedere: è pronta la giacca? No, ancora non è pronta! Quando è tornato di nuovo, ((intanto avevamo un nuovo cliente), gli abbiamo detto che la giacca era veramente a posto. La proviamo chiese ancora il giovane? Si, rispondemmo e lui provò la giacca. Dopo averla provata, fece un ampio sorriso e disse: vedete che la giacca ora è perfetta! Allora avevo tredici anni ed ero molto paziente!Se fosse venuto oggi avrei preso la giacca e gliel’avrei tirata in faccia! Certe volte a Favara si vedono cose folli, che nessuno può immaginare! E te ne potrei raccontare tante di queste storie!
Quante prove facevi prima di consegnare un vestito?
Nella mia sartoria si facevano due prove, in casi estremi tre. Quando sono tornato dall’estero, a me bastava una sola prova con il cliente e la giacca era pronta.
C’è differenza tra il lavoro del sarto e quello della sarta. Personalmente ho incontrato una sarta che di venerdì non ha voluto tagliare la stoffa e il lunedì prima di tagliarla ha recitato la preghiera delle sarte delle Petralie…
Queste differenze le ho notate anche all’estero. Non dico di aver fatto l’istruttore ma quasi!La sarta come lavorante può essere anche più brava del sarto, ma come lavorante, le sarte sono più portate per il ricamo…
Quante sartorie sono rimaste oggi a Favara?
Nessuna!, A Favara non ci sono più sartorie. Nemmeno la mia, è diventata solo un passatempo!
Come lo vedi il futuro dei sarti a Milano ho incontrato solo barbieri turchi e sarte cinesi?
Tutti vogliamo il sarto ma i nostri figli e i nostri nipoti non lo devono fare, questo mestiere lo devono fare sempre gli altri! Prima c’era l’apprendistato che era una prova, poi uno imparava una professione e faceva il barbiere o il sarto! Oggi i nostri li figli non li mandiamo più né dal barbiere nè dal sarto, e quindi questi mestieri rischiano di scomparire. E continueremo a comprare le cose belle e fatte…
Storia di sarti e sartorie
I sarti esistono ancora? Quelli moderni, contemporanei sono molto diversi da quelli di un tempo sono diventati creativi, manager, imprenditori. Sono da considerare i primi ambasciatori del tessuto italiano. Pochi sanno che in Italia a Valdilana è stato istituito il liceo tessile e che il concorso più importante Forbici d’oro è nato nel 1951 creato da Mino Maestrelli. Un tempo per avere un vestito era necessario andare in sartoria. La maggioranza delle persone commissionava un abito nuovo solo in previsione di importanti ricorrenze. I sarti erano in grado di realizzare vestiti straordinari scegliendo il modello, tagliando la stoffa necessaria. I clienti con grande pazienza partecipavano ad una serie di prove anche estenuanti. Alla fine di queste prove il sarto molto esigente cuciva, rifiniva e stirava il vestito come solo lui sa fare. In questo mestiere non si può improvvisare, la maggior parte del lavoro viene svolto a mano, quindi occorrono figure specializzate e un’abbondante manodopera. Il sarto era un artigiano che rappezzava e ricuciva gli abiti. Tale nobile arte fonda le sue radici nel Medioevo, tra il XIIIe XIV secolo in concomitanza con la nascita della moda. Da sempre l’arte della sartoria si è tramandata di generazione in generazione; più un sarto lavorava ed accresceva la propria esperienza, più belle e ricercate erano le sue opere. Non c’è mai stata una dottrina specifica, bensì unicamente passione, tanto lavoro e trucchi del mestiere trasmessi nel corso degli anni. Ad onor del vero, vi è stata un un’importante parentesi formativa quando, nel 1575, il Papa Gregorio XIII fondò l’Università dei Sartori a Roma nella quale giovani futuri sarti si recavano per apprendere il mestiere in cambio di una corresponsione, allo Stato Pontificio, di un canone annuo di 20 scudi e di 20 libbre di cera lavorata. Nonostante nell’immaginario comune, come giusto che sia, l’uomo italiano è l’immagine perfetta dello stile e del savoirfaire, ma dobbiamo attendere gli anni del boom economico per poter parlare con certezza di “classe italiana”. Difatti, durante il Regno d’Italia, gli abiti che venivano commissionati ai sarti erano ispirati al modello inglese: tessuti pesanti e grezzi, fantasie a quadri e colori molto british come marrone e verde. Solo negli anni Cinquanta si concretizzò il riconoscimento a livello internazionale del concetto di moda italiana. Il mestiere di sarto/a è quello di un artigiano a tutto tondo: deve saper disegnare, cucire, riparare, confezionare, deve inoltre possedere una buona dose di pazienza, creatività e al tempo stesso precisione matematica; come in molti altri casi di mestieri creativi e artigianali, l’Italia vanta una tecnica e una maestria ammirate in tutto il mondo. Le prime scuole sartoriali nasceranno già nell’ottocento nella città di Napoli, famosa ancora oggi per i suoi maestri d’alta sartoria; ma la vera e propria “Università dei Sartori” nacque nel 1574, grazie a Papa Gregorio XIII, nella chiesa di S. Omobono (Campidoglio), in seguito a molte vicissitudini, la sede dell’Accademia venne spostata per poi stabilirsi, attualmente, in via Francesco Crispi 115, a Roma.
Quella del Sarto è un’arte complessa, fatta di precisione e cura del dettaglio. E’ importante la scelta della materia prima, dei tessuti di pregio, comodi e durevoli. Ci vuole creatività, versatilità, passione. La sartoria è l’arte dell’eleganza e della pazienza, che si tramanda di generazione in generazione. L’arte sartoriale italiana, tra le più famose al mondo vanta una lunga tradizione, ed è tra quelle produzioni artigiane che hanno reso il Made in Italy tanto celebre ed apprezzato all’estero. Commissionare un abito diventa sinonimo di agiatezza, mentre le botteghe dei sarti si trasformano in veri e propri salotti e punto di ritrovo per i nobili dell’alta società.
Inizialmente le mode prevalenti sono quelli europee, in particolare quella inglese per gli abiti maschili e francese per quelli femminili. È solo negli anni Cinquanta e Sessanta, con nomi di grandi stilisti come Ottavio Missoni, Krizia, Giorgio Armani e Valentino, che nasce la moda italiana, divenendo punto di riferimento per tutto il mondo. Mentre Milano si affianca a Parigi e New York come capitale della moda.
La sartoria italiana acquista allora fama internazionale e i suoi artigiani vengono apprezzati in tutto il mondo.
Detti sui sarti:
Al sarto povero si storce l’ago. Cattiva sarta non trova mai le forbici. I sarti cuciono e le modelle sfilano. Le donne più belle le vestono gli uomini. Il sarto va sempre con i calzoni strappati. Il tempo è un sarto. Un gentiluomo non parla mai del suo sarto. Il decoro è lasciato nelle mani dei sarti. Per fare un uomo ci vogliono 9 sarti.
Storie curiose:
Un sarto stava provando una giacca con tutti gli spilli in bocca. All’improvviso gli venne un colpo di tosse e gli spilli schizzarono via e si piantarono nella nuca di un cliente, che guarì istantaneamente dall’artrosi cervicale che lo tormentava da anni e adesso rompe le balle a tutti con i miracoli dell’agopuntura (Tratto dal libro di Romano Bertola “Le caramelle del diavolo”).
Libri sui sarti:
Il sarto della strada lunga di Giuseppe Bonaviri, La sartoria e il praticante di Gilberto Severini, Artisti del Quotidiano sarti e sartorie.
Si ringrazia Salvatore Indelicato per le foto.