Federico II di Svevia, detto lo stupor mundi, è il bisnonno di Federico III, aragonese, re di Sicilia, chiamato onor di Cicilia da Dante, nella Divina Commedia (canto III del Purgatorio).
Il primo è morto nel 1250 il 13 dicembre, nel giorno di Santa Lucia. E nel giorno di Santa Lucia (del 1273) è nato il secondo.
Entrambi sono stati re di Sicilia: lo svevo Federico II dal 1198 al 1250; l’aragonese Federico III dal 1296 al 1337.
Cresciuto in Sicilia, Federico II di Svevia dal 1220 è stato pure imperatore del sacro romano impero ed ha polarizzato l’attenzione degli storici grazie alla sua forte e poliedrica personalità che ha fatto nascere miti e leggende attorno a lui, fondendole o confondendole talvolta con quelle del nonno paterno, Federico Barbarossa.
Di certo fu un uomo colto: pare che parlasse 6 lingue e fece della sua corte un luogo di incontro fra le culture greca, latina, germanica, araba ed ebraica.
In Sicilia, la sua politica fu molto innovativa e caratterizzata da uno spirito culturale molto elevato e finalizzato ad amalgamare usi e costumi d’ogni provenienza e tradizione, in un ambiente multiculturale nel quale da sempre convivevano serenamente cristiani greci e latini, ma anche musulmani e ebrei.
Fu scomunicato due volte, perché non riconosceva il potere temporale del Papa.
Federico III, aragonese, re di Sicilia, non ha oggi la fama del suo bisnonno. Anzi sembra esser stato dimenticato pressoché completamente.
Persino la sua sepoltura nella cattedrale di Catania è rimasta scordata da tutti, confusa con quella di altri personaggi della famiglia reale suoi discendenti, in una tomba senza nome.
Eppure il suo regno è stato la rappresentazione ostentata di una nazione siciliana separata dal resto del Paese. Ed è forse per questo che negli ultimi secoli questo re è caduto nell’oblio. Perché la storiografia ufficiale unitaria non poteva accettare ciò né diffondere questa idea di Sicilia.
Federico III tenne sempre in debito conto le ragioni della Sicilia e dei siciliani, i quali sembrava l’amassero profondamente e sinceramente.
Il suo regno è durato ben quarantuno anni, contro ogni tentativo di usurpazione angioina e contro la Chiesa di Roma che considerava la Sicilia un proprio feudo.
Di questo re di Sicilia c’è una sola immagine ufficialmente riconosciuta, quella del mosaico nell’abside centrale del Duomo di Messina, ove appare giovanetto e belloccio. Non ci sono altre immagini di lui nei libri di storia o in qualsivoglia altra fonte. Salvo quella recentemente scoperta dal docente di pittura murale all’Accademia Belle Arti di Firenze e presidente del Centro Studi Chiaramontani di Naro, Calogero Saverio Vinciguerra, presso la biblioteca nazionale spagnola di Madrid.
Si tratta di un disegno del 1621 del pittore italiano Vincenzo Carducci (vissuto a lungo in Spagna), delle dimensioni di cm. 39×12,5, che fa parte di una serie di 16 disegni che raffigurano altri re spagnoli o di origine spagnola e che adornarono la tomba di re Filippo III di Spagna.
Sulla base di questo disegno, quest’anno è stato realizzato un dipinto raffigurante il re di Sicilia a cura dell’artista italo-albanese Kristian Lepuri (nella foto sotto), dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, allievo di Calogero Saverio Vinciguerra.
Il dipinto è stato collocato in una nicchia all’ingresso del Castello Chiaramontano di Naro, quale opera pittorica rientrante nel progetto di committenza pubblica portato avanti in partnership dal Comune di Naro, guidato dal sindaco Mariagrazia Brandara, e dall’Accademia Belle Arti di Firenze, in cui è docente Calogero Saverio Vinciguerra.