La fattispecie riguarda una dipendente regionale agrigentina che è dovuta arrivare sino alla Corte Costituzionale, grazie ai suoi avvocati, per vedersi riconosciuto il diritto all’inquadramento quale dirigente regionale (come indicava il bando di concorso cui aveva partecipato) e non quale funzionario direttivo (come insisteva l’amministrazione regionale).
Di seguito, la vicenda.
Risultata vincitrice del concorso della regione siciliana a 70 posti di dirigente tecnico archeologo, una concorrente agrigentina è stata inquadrata quale funzionario di categoria D (con applicazione del trattamento economico corrispondente) anziché come dirigente (e quindi con un trattamento economico maggiore) come voleva il bando di concorso.
Ciò perchè -a dire dell’amministrazione regionale- c’era stata la riforma della dirigenza regionale e i vincitori di questo concorso non avrebbero potuto essere inquadrati nella terza fascia dirigenziale. A parere dell’amministrazione regionale, infatti, non poteva essere applicata la legge di riforma, in quanto entrata in vigore successivamente alla pubblicazione del bando di concorso.
Così, l’archeologa agrigentina, lesa nel suo diritto all’inquadramento di dirigente, nel 2005, con ricorso straordinario al Presidente della Regione siciliana, ha impugnato il provvedimento di nomina, chiedendone l’annullamento, nella parte in cui la regione l’aveva inquadrato quale fuzionario anziché quale dirigente.
Su questo ricorso, il Consiglio di Giustizia Amministrativa, in sede consultiva, si esprimeva favorevolmente, ritenendo che il corretto inquadramento “non poteva che essere proprio quello di dirigente di terza fascia”.
Ciò nonostante, il presidente della regione pro-tempore respingeva il ricorso straordinario presentato dall’archeologa, richiamando una norma (l’articolo 9 del D. Lgs. n. 373/2003) che, a suo dire, lo autorizzava a decidere in maniera difforme al parere del CGA.
Ed allora, l’interessata , con il patrocinio degli avvocati Girolamo Rubino e Calogero Marino, contestava la suddetta decisione innanzi ai competenti organi di Giustizia Amministrativa.
In particolare gli avvocati Rubino e Marino, rilevavano, tra le altre cose, come l’applicazione della norma richiamata dal presidente della regione siciliana avrebbe violato il principio di uguaglianza che deve essere garantito tra tutti i cittadini italiani: in questo caso, infatti, solo in Sicilia, un organo politico (Presidente della Regione) avrebbe potuto decidere un ricorso in maniera difforme al parere reso dall’organo giudiziale (in Sicilia, il CGA, nel resto d’Italia, il Consiglio di Stato).
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa, ritenendo rilevante la questione sulla legittimità costituzionale della norma che autorizza il Presidente a superare il parere dell’organo giurisdizionale, sospendeva il giudizio e trasmetteva gli atti alla Corte Costituzionale.
In esito all’udienza pubblica del 21.02.2023, la Corte costituzionale, condividendo le tesi degli avvocati Rubino e Marino, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 5, D. Lgs. n. 373/2003 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana) per contrasto con gli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 24 (diritto di difesa) della Costituzione.
A seguito della suddetta sentenza della Consulta, che ha determinato il venir meno della facoltà per il Presidente della Regione di discostarsi dal parere del CGA, l’appello della dipendente regionale agrigentina è stato accolto dallo stesso CGA.
In esecuzione della superiore pronuncia del CGA la Regione siciliana avrebbe dovuto procedere tempestivamente ad inquadrare la dott.ssa V.C. quale dirigente nei ruoli dell’amministrazione regionale.
Senonchè, piuttosto che eseguire la suddetta sentenza, l’Ufficio Legislativo e Legale della Presidenza della Regione Siciliana ha invece richiesto al CGA un riesame delle risultanze (favorevoli alla ricorrente) del parere espresso in precedenza sulla vicenda in esame.
E ciò in quanto, secondo l’amministrazione regionale, l’esito risultante in sede consultiva e giurisdizionale amministrativa contrasterebbe con quello cui è pervenuta la giurisprudenza della Corte di Cassazione in diverse sentenze che hanno definito (in senso favorevole all’Amministrazione) alcuni contenziosi promossi dinanzi al Giudice del lavoro.
In riscontro alla suddetta richiesta gli avvocati Rubino e Marino evidenziavano l’inammissibilità della richiesta di riesame del parere proposta dalla Regione Siciliana, rilevando come secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale la suddetta possibilità è riconosciuta soltanto nelle fattispecie nelle quali è esperibile il rimedio (a sua volta straordinario) della revocazione, ipotesi queste non ricorrenti nel caso di specie, mentre nel caso in esame non sussiste né una obiettiva non conformità a diritto del parere, nè un irrimediabile contrasto con un orientamento da ritenersi del tutto prevalente e consolidato, sussistendo invece solo una questione di diritto interpretata in modo differente dai diversi Organi aditi
Ebbene il CGA , aderendo alle tesi degli avvocati Rubino e Marino, ha dichiarato inammissibile la richiesta di riesame avanzata dalla Regione siciliana, ritenendo che non possa ritenersi ammissibile una richiesta di riesame che trovi fondamento soltanto su una divergenza interpretativa di norme.
Per effetto di quest’ultima ulteriore pronuncia del CGA, la Regione siciliana dovrà procedere con la massima sollecitudine all’inquadramento dell’archeologa agrigentina nel ruolo dirigenziale dirigente nei ruoli dell’amministrazione regionale, posto che in caso contrario la ricorrente potrà agire per l’esecuzione della sentenza presso le competenti sedi giurisdizionali.