Archiviato, col timbro dei franchi tiratori, il tirichitolla sulle province, adesso ci sono le recriminazioni, la ricerca dei giuda della maggioranza, i grandi proclami, la finta crisi di governo (ovviamente non conviene a nessuno della maggioranza andare a nuove elezioni regionali).
Ma davvero qualcuno pensava che la riforma delle province, delle nuove poltrone, delle ricche indennità, dell’elezione diretta di presidenti e consiglieri provinciali potesse essere varata?
Abbiamo la memoria corta. Analoga riforma era già stata varata durante il governo di Nello Musumeci. Mi riferisco alla legge regionale n. 17 del 11 08 2017, recante “Disposizioni in materia di elezione diretta del Presidente del libero Consorzio comunale e del Consiglio del libero Consorzio comunale nonché del Sindaco metropolitano e del Consiglio metropolitano” e pubblicata nella gazzetta ufficiale della regione siciliana del primo settembre 2017.
Ebbene, allora essa è stata dichiarata incostituzionale giusta pronuncia della Consulta in data 4 luglio 2018.
Cosa è cambiato da allora?
Nulla. La cosiddetta legge Del Rio era vigente allora ed è vigente oggi. La Costituzione della Repubblica Italiana quella era e quella è.
Perché dunque stavolta la Corte Costituzionale non avrebbe dovuto dichiarare egualmente ed odiernamente illegittima la nuova riforma delle province?
Perché il ministro per gli affari regionali e le autonomie e qualche deputato regionale di Fratelli d’Italia si erano spinti a dire di aver concordato ad alto livello che il governo nazionale non avrebbe impugnato la riforma delle province davanti alla Carta Costituzionale?
Intanto, dichiarazioni in tal senso (rilasciate anche in interviste a quotidiani online e cartacei) mi sembrano gravi, oltre che paradossali. Come dire: puoi andare a rubare perché abbiamo concordato che le forze dell’ordine chiuderanno un occhio!
Ma per favore…
Immaginate i deputati regionali isolani recarsi da Giorgia Meloni per dirle di non impugnare la riforma siciliana delle province?
Li avrebbe cacciati via a calci nel sedere.
Come avrebbe fatto il capo del governo a spiegare a Repubblica, a Il Fatto Quotidiano, al Corriere della Sera etc… che, per le province, nel resto d’Italia si vota con elezioni di secondo grado, mentre nella sola Sicilia si eleggono direttamente i presidenti ed i consiglieri delle province?
E come spiegare ai suoi elettori (in primis quelli siciliani) la spesa di 5 milioni di euro per la prima elezione delle province risorte? E che dire del presidente e dei consiglieri delle province siciliane che avrebbero percepito sostanziose indennità, mentre nel resto d’Italia non c’è indennità alcuna, in quanto i presidenti e i consiglieri provinciali percepiscono già quelle di sindaco e di consigliere comunale?
Dilettanti allo sbaraglio o, magari, vacui polveroni per dire agli aspiranti presidenti, assessori e consiglieri provinciali: noi ci abbiamo provato, ma gli altri sono stati cattivi…