Oggi, 27 marzo, si celebra la Giornata Mondiale del Teatro, giunta quest’anno alla sua 62esima edizione.
La Giornata Mondiale del Teatro è stata istituita per la prima volta il 27 marzo 1962, dall’International Theatre Institute – ITI UNESCO, il più grande network mondiale per le arti performative.
La scelta è ricaduta su quella data perché coincideva con la cerimonia parigina d’inaugurazione del Teatro delle Nazioni. Da quel giorno in tutto il mondo si celebra ogni anno la Giornata Mondiale del Teatro e viene chiesto ad una personalità di spicco del mondo del teatro, della musica o della cultura in genere di scrivere un messaggio per l’occasione.
Il Testo viene, poi, poi tradotto in svariate lingue a cura dei numerosi centri nazionali dell’International Theatre Institute e ne viene data lettura non solo nei teatri, ma anche nelle scuole, nelle biblioteche, nei luoghi di cultura e di aggregazione in tutto il globo..
Anche per questa 62esima edizione una personalità di rilievo del panorama artistico e culturale internazionale è stata invitata a condividere le proprie riflessioni sul tema del Teatro e della Pace tra i popoli, per divenire “messaggio internazionale”.
La scelta nel 2024 è ricaduta sul norvegese Jon Fosse, autore di romanzi, racconti ,poesia, saggistica, letteratura per bambini e drammi, tradotto in oltre cinquanta lingue e traduttore egli stesso, Premio Nobel per la Letteratura 2023.
Il messaggio scritto da Fosse per la Giornata mondiale del teatro 2024,dal titolo “L’arte è pace” e tradotto da Roberta Quarta, sottolinea la valenza non solo del teatro, ma di ogni arte in quanto riesce a coniugare meravigliosamente gli opposti: l’unicità di ogni individuo, il particolare, con l’universale non appiattendo le differenze ma, al contrario, permettendoci di comprendere ciò che è diverso, straniero. Semplicemente l’arte e la guerra sono opposti: “L’arte è pace”.
Di seguito il “messaggio internazionale” di Jon Fosse
L’ARTE È PACE
“Ogni persona è unica e, allo stesso tempo, simile a tutte le altre. L’aspetto esteriore, visibile di ciascuno è diverso da quello di chiunque altro, questo è ovvio, ma c’è anche dentro ogni individuo qualcosa che appartiene solo a quella persona, che è proprio solo di quella persona. Potremmo chiamarlo il suo spirito, o la sua anima, oppure potremmo decidere di non etichettarlo affatto con le parole, lasciandolo semplicemente stare là.
Ma anche se diversi gli uni dagli altri, siamo al contempo simili. Le persone di ogni parte del mondo sono fondamentalmente simili, e questo indipendentemente dalla lingua che parliamo, dal colore della pelle che abbiamo, dal colore dei capelli.
Potrebbe sembrare un paradosso: siamo completamente simili e completamente dissimili allo stesso tempo. Forse ogni persona è intrinsecamente paradossale, nel legame tra corpo e anima: comprendiamo in noi sia l’esistenza più terrena e tangibile, sia quanto trascende questi limiti materiali e terreni.
L’arte, la buona arte, riesce, in modo meraviglioso, a coniugare l’assolutamente unico con l’universale. Ci permette di comprendere ciò che è diverso – ciò che è estraneo, si potrebbe dire – in quanto universale. Così facendo, l’arte supera i confini tra le lingue, le regioni geografiche, i paesi, mettendo insieme non solo le qualità individuali di ciascuno, ma anche, in un altro senso, le caratteristiche individuali di ogni gruppo di persone, ad esempio di ogni nazione.
L’arte non lo fa appiattendo le differenze e rendendo tutto uguale, ma, al contrario, mostrandoci ciò che è diverso da noi, ciò che è estraneo o straniero. Tutta la buona arte contiene proprio questo: qualcosa di estraneo, qualcosa che non possiamo comprendere completamente e che, allo stesso tempo, in un certo senso, comprendiamo. Contiene un mistero, per così dire. Qualcosa che ci affascina e che ci spinge oltre i nostri limiti, creando così quella trascendenza che ogni arte deve contenere in sé e alla quale deve condurci.
Non conosco modo migliore per unire gli opposti. Questo approccio è esattamente il contrario rispetto a quello dei conflitti violenti che vediamo troppo spesso nel mondo, che assecondano la tentazione distruttiva di annientare tutto ciò che è estraneo, unico e diverso, spesso utilizzando le invenzioni più disumane che la tecnologia abbia messo a nostra disposizione. C’è il terrorismo nel mondo. C’è la guerra. Questo perché le persone hanno anche un lato animale, spinte dall’istinto di percepire l’altro, lo straniero, come una minaccia alla propria esistenza piuttosto che come un affascinante mistero.
È così che l’unicità, le differenze che si possono vedere, scompaiono, lasciando dietro di sé un’uniformità collettiva in cui tutto ciò che è diverso diventa una minaccia da sradicare. Ciò che dall’esterno è visto come una differenza, ad esempio nell’ambito della religione o dell’ideologia politica, diventa qualcosa da sconfiggere e distruggere.
La guerra è la battaglia contro ciò che risiede nel profondo di ognuno di noi: qualcosa di unico. Ed è anche una battaglia contro l’arte, contro ciò che risiede nel profondo di ogni arte. Ho parlato qui dell’arte in generale, non del teatro o della drammaturgia in particolare, perché, come ho detto, tutta la buona arte, in fondo, si basa sulla stessa cosa: prendere l’assolutamente unico, l’assolutamente specifico, per renderlo universale. Unire il particolare all’universale, esprimendolo artisticamente: non eliminando la sua specificità, ma enfatizzandola, lasciando risplendere ciò che è estraneo e non familiare. La guerra e l’arte sono opposti, proprio come lo sono la guerra e la pace. È semplicemente così.
L’arte è pace.”
Traduzione dall’inglese di Roberta Quarta – Centro Italiano dell’International Theatre Institute (ITI Italy)