Le misure adottate dal Governo, per il contenimento del contagio dal Coronavirus, ci hanno costretti a rimanere a casa, limitando le nostre uscite per sole comprovate esigente lavorative, di salute ed alimentari.
In questi giorni di permanenza forzata mi sono più volte soffermato a pensare a chi a casa ci sta male ed è stato costretto a rimanerci h24, convivendo con il marito prepotente, piuttosto che con il figlio violento o con la moglie ossessiva. Di questo argomento abbiamo rivolto delle domande all’Avv. Salvatore Cusumano.
Avvocato, purtroppo, da quando siamo costretti in casa, le frustrazioni professionali e personali si possono tradurre in provocazioni e aggressioni verbali.
Cosa si può fare? Come si ci può difendere ? Si può parlare anche di mobbing familiare?
L’emergenza Coronavirus ha sicuramente incrementato in maniera preoccupante il fenomeno del mobbing familiare. E’ un concetto giuridico di recente introduzione, che comprende quegli atti di maltrattamento psicologico posti in essere intenzionalmente all’interno di un nucleo familiare, spesso oltrepassando il rispetto dei diritti fondamentali della persona.
Per esempio condotte prepotenti, coercitive e vessatorie ripetute nel tempo e finalizzate a rendere fragile e manipolabile la vittima, tanto da causare gravi danni morali, biologici ed esistenziali.
In questa drammatica situazione mondiale, il nostro Governo ha voluto adottare serissimi provvedimenti per contrastare la pandemia; il che ha comportato il cosiddetto lockdown in tutto il Paese, la permanenza domiciliare e il distanziamento sociale.
Ecco, allora, che la convivenza “forzata” tra i partner, e, dunque, la mancanza per ciascuno di spazi propri e vitali, fa sì che le condotte aggressive spesso sfocino in atti persecutori e in maltrattamenti in famiglia.
Questo scenario di obblighi e limitazioni, di perimetri di contenimento della libertà, favorisce la denigrazione, la svalutazione, la coercizione dell’altro; ma anche il ricatto, il silenzio inquisitore, persino, addirittura, la volontà di sopprimere l’altro. Pertanto, la violenza non è solo fisica ma anche psicologica: una violenza insidiosa, difficile da individuare, molte volte negata e banalizzata all’interno della coppia. Spesso, infatti, le insoddisfazioni professionali del proprio partner e la preoccupazione per i soldi che cominciano a non bastare più, diventano il motivo per perseguitare e vessare chi è intorno, compresi anche i figli quali vittime collaterali.
Ecco questo è il mobbing, ovvero, la volontà di annientare l’altro, partner o figlio che sia.
Quali sono allora gli strumenti a tutela dei soggetti che subiscono tali comportamenti?
Secondo la Cassazione, le continue vessazioni, le violenze morali e psicologiche subite costituiscono comportamenti contrari ai doveri nascenti dal matrimonio previsti agli artt. 143 e 145 c.c., che di per sé giustificano, se si tratta di coniugi, l’addebito della separazione.
Ma limitare gli effetti pratici del mobbing familiare alle sole conseguenze dell’addebitabilità della separazione, non rende giustizia alle vittime.
Infatti, chi ha subito il male e il dolore può ottenere anche il risarcimento del danno non patrimoniale se è coniuge, ma anche se è partner, dimostrando che il comportamento dell’altro ha leso interessi costituzionalmente garantiti, quali l’onore, la dignità o la salute della vittima. Naturalmente c’è sempre il territorio penale da prendere in considerazione, sempre che i magistrati non preferiscano ritenere beghe coniugali questi orrendi e dolorosi comportamenti.
Comunque rimane sempre attivo 24 ore su 24, nel nostro Paese, il 1522, cui ogni persona in difficoltà potrà rivolgersi.