Giuseppe Maurizio Piscopo
La stazione di Favara è un lontano ricordo della mia infanzia.
Mi piaceva guardare la partenza dei treni seduto su una pietra, sentire il fischio del capotreno, osservare le persone con le valige, quelli che arrivavano all’ultimo momento e quelli che attendevano tre ore prima in stazione e dicevano che il treno non aspetta.
Se i treni potessero parlare ne avrebbero di cose da raccontare: gioie, dolori, verità, bugie, tradimenti, amori e morte: i grandi temi della Sicilia e della vita. Solo in pochi partivano per gioia, gli altri lo facevano per necessità, per dolore. Qualcuno era latitante e scappava di notte al buio, per evitare di essere arrestato, “spariva” con il primo treno all’alba, facendo perdere le proprie tracce. Le persone in stazione si abbracciavano sempre. Qualcuno l’ho visto piangere. Da bambino uscivo fuori paese con altri ragazzi e a piedi ci allontanavamo fino alla stazione, che era in aperta campagna. Dice una vecchia canzone di Otello Profazio : “E mannaggia a li ngegneri che inventò la ferrovia ca si n’un facia li mezzi a la Merica n’un ci iva”…
Ma dove portano questi treni?
Dove portano le gallerie, il fumo i colori di questo cielo? L’ho capito dopo. Da Favara con il treno del sole partivano gli emigranti per il mondo: per Torino, Milano, per la Saar, per Colonia, per Saarbruken, per Leverkusen, Liegi e tante altre città straniere dove il cielo è sempre plumbeo e si parla una lingua che fa male al cuore. Si partiva alla ricerca di un lavoro e si dormiva in una baracca umida senza servizi che chiamavano casa. Lasciavano la campagna, la zolfara, la famiglia, alla ricerca di una vita migliore. Quando si moriva a la “strania”, si moriva da soli e nessuno se ne accorgeva. Che cosa rimane nei miei occhi se non il ricordo del primo amore, che vidi partire dal cortile dei sette cortili alla volta della stazione. La sera prima della partenza riuscii a rubare un bacio all’amore mio. Ci siamo nascosti sotto un carretto, rischiando una fucilata se mi avesse scoperto suo padre. Quei viaggi in treno mi ricordano tanto dolore e un biglietto di sola andata, gli occhi arrossati di malinconia e una valigia piena di sogni, con il pane di paese, le olive, un pezzo di formaggio, una cipolla, una melagrana, un dolce fatto in casa e tante lacrime amare.