La nostra amata Sicilia potrebbe essere paragonata a una ideale medaglia. Le due facce sono diverse, spesso completamente opposte. E’ terra di ricchezze, storiche e paesaggistiche, ma anche di tanta povertà. E’ una terra sanguigna, di forti sentimenti, d’amore e d’odio. E’ stata, anche se purtroppo è ritornata a esserlo, terra di un’emigrazione tanto impressionante nei numeri quanto nostalgica e oggi è anche terra d’immigrazione. Negli anni sono state decine di migliaia le persone sbarcate sulle nostre coste e la provincia di Agrigento, in questa triste classifica, domina il non invidiabile vertice. Le coste dell’isola di Lampedusa (ma anche la costa di Realmonte, suo malgrado immobile spettatrice della tragedia del settembre del 2002 e altre del litorale agrigentino) sono gli approdi più gettonati e considerati tra i più sicuri dai tanti disperati che per sfuggire alle numerose situazioni di estrema povertà o per sottrarsi alle sempre più sanguinose e cruenti guerre e persecuzioni politiche o razziali, dopo aver spesso attraversato nei modi più incredibili il pericoloso deserto del Sahara, si ritrovano ad attraversarne, su barconi spesso al limite della loro capienza, un altro, ma d’acqua e altrettanto pericoloso e funesto, come spesso sa essere il Canale di Sicilia. Arrivano, stremati e disorientati, dalle nazioni più povere dell’Africa sub sahariana: somali, etiopi ma anche ivoriani, mauritani e ghanesi. I pochi che riescono a eludere gli stretti e costanti controlli di Guardia Costiera e Guardia di Finanza, fanno perdere le loro tracce, ma la maggioranza è intercettata e portata negli ormai famosi Centri di Permanenza Temporanea (CPT) o, all’occorrenza, nei Centri d’Identificazione ed Espulsione (CIE), strutture nelle quali, spesso in condizioni estreme, come è stato più volte denunciato in varie sedi istituzionali, sostano anche per diversi mesi, in attesa di poter conoscere il loro destino e in balìa di una lunga e lenta burocrazia. Ma non ci sono solo loro. Infatti, oltre ai tanti clandestini che, scoperti, vengono in molti casi immediatamente rimpatriati, ve ne sono altri, migliaia, che sono riusciti a schivare anche i controlli dei CPT o dei CIE, o che più “semplicemente” sono sbarcati direttamente sulle coste agrigentine prima citate. Loro sono gli “invisibili” che ritroviamo nelle nostre strade, ai quali ci avviciniamo spesso solo per chiedere il prezzo di qualche articolo da loro esposto e venduto. Sono uomini e donne che, senza sminuire minimamente la loro dignità, fanno la fila alla mensa dei poveri gestita dalla Caritas diocesana di Agrigento e sono le stesse persone alle quali sono stati affittati, da proprietari non proprio timorati, molti dei tuguri presenti nel pericolante centro storico del capoluogo.
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Antonio Fragapane
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