Pino Sciume’
“Certo, se in quella torrida estate del 1950, Salvatore Giuliano – alla vigilia del processo di Viterbo, per gli eccidi siciliani della primavera 1947 – si fosse deciso a vuotare il sacco, sarebbe crollata l’Italia. A cominciare dalle sue nuove istituzioni repubblicane”. Quest’affermazione, estrapolata dal blog del Prof. Giuseppe Casarrubea, storico, giornalista e preside nella sua Partinico, cittadina ad un tiro di schioppo da Montelepre, porta la data del 26 giugno 2010.
Autore di diversi libri tra cui Lupara Nera, Storia segreta della Sicilia, Fra’ Diavolo e il governo nero, Salvatore Giuliano: morte di un capobanda e dei suoi luogotenenti, il Casarrubea si pone a pieno titolo tra i massimi esperti della storia della Sicilia negli che vanno dal ’43 al ’50, cioè dallo sbarco anglo-americano del 10 luglio 1943 sulle spiagge di Gela fino alla morte di Giuliano.
5 luglio 1950. Al Viminale, sede del ministro degli Interni Mario Scelba, arriva un dispaccio con il quale il colonnello Ugo Luca, capo del CFRB (Corpo Forze Repressione Banditismo – in Sicilia) comunica al ministro che a seguito di un conflitto a fuoco con alcuni carabinieri al comando del maresciallo Antonio Perenze, veniva ucciso, nel cortile Mannone di Castelvetrano, il bandito Salvatore Giuliano.
I giornali isolani escono in edizioni straordinarie, raccontando nei minimi particolari la fine dell’imprendibile re di Montelepre, il fuorilegge che per sette anni aveva dato scacco matto allo stato, ritenuto responsabile di innumerevoli omicidi, di cui un centinaio tra le forze dell’ordine. Descritto dalle fonti ufficiali come un efferato assassino, unico responsabile della strage di Portella delle Ginestre, spietato esecutore di assalti a diverse caserme e sedi sindacali di sinistra, al siciliano Scelba non sembrò vero esprimere la propria soddisfazione per la fine di un incubo che era arrivato persino a minare la giovane democrazia uscita dal ventennio fascista.
Ma ad un giornalista dell’Europeo, Tommaso Besozzi, recatosi ad esaminare il cadavere di quel giovane ragazzo di 27 anni che giaceva davanti alla porta di casa dell’avvocato Gregorio Di Maria (morto quasi centenario) apparve subito evidente che quella era una scena non veritiera e maldestramente artefatta.
Il sangue fuoruscito dalla raffica di mitra era colato stranamente verso l’alto inzuppando la parte posteriore della canottiera di Giuliano, che era riverso a pancia in giù. Gli bastarono alcuni giorni di indagini e nel n. 29 del luglio 1950 sul suo giornale “L’Europeo”pubblicò un articolo che stravolse la versione ufficiale dei fatti annunciata dallo Stato e che provocò aspre reazioni sia in parlamento che in tutto il Paese: “Un segreto nella fine di Giuliano. Di sicuro c’è solo che è morto. Chi è stato a tradirlo? Dove è stato ucciso? E quando? La stragrande maggioranza dei siciliani non crede alla descrizione ufficiale del conflitto nel quale ha trovato la morte…”.
Sono trascorsi 70 anni da quel 5 luglio. Il colonnello Ugo Luca fu promosso Generale, Perenze arrivò al grado di Capitano: Di lì a poco al processo di Viterbo quelli che rimasero della banda furono condannati all’ergastolo per la strage di Portella. Ma il Grande Dubbio è rimasto saldamente in piedi. Alcuni influenti politici di allora, alti funzionari delle forze di polizia e pezzi dello stato ebbero contatti diretti con Giuliano, che era stato nominato colonnello dell’Evis (Esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia). La bandiera separatista sventolava sulle montagne di Sagana, impenetrabile regno di Turiddu.
Dagli archivi americani, inglesi e in parte italiani, sono venute fuori verità impressionanti, ma è soprattutto dai ricordi ancora lucidi di alcuni testimoni del tempo che sembrano uscire elementi contrastanti con quelli consegnati definitivamente alla storia. Il professor Giuseppe Mazzola, primo cugino di Vito Mazzola, (morto nel 1996 e organico alla banda Giuliano), storico monteleprino, già assessore e vicesindaco socialista, ha scritto ben tre libri su quegli avvenimenti, dal 1996 al 2009, in qualità di testimone oculare dei fatti.
In una intervista pubblicata su un giornale il primo maggio 2010, afferma che “alla fine degli anni sessanta mio cugino Vito Mazzola mi confidò che Turiddu non sparò a Portella contro la povera gente e che la mafia stessa, tramite l’affiliato on. Calogero Volpe, avvisò l’on. Li Causi della strage. Giuliano… ciò che era realmente successo lo seppe l’indomani dal Giornale di Sicilia… alla direzione regionale del blocco del popolo, i due partiti PCI e PSIUP decisero che nessuno dei dirigenti doveva partecipare alla manifestazione…”. E’ una testimonianza pesante come un macigno, ma come dice lo stesso Mazzola “so che queste rivelazioni non piacciono a coloro che non vogliono fare luce sul proprio passato. Ma sono verità, anche se scomode”. Gli abitanti di Montelepre subirono arresti e maltrattamenti perché accusati di proteggere Giuliano. Continua il Mazzola “Solo riappropriandosi della verità storica i monteleprini potranno uscire dallo stato di prostrazione e di decadimento civico e culturale in cui sono ancora irretiti. Non si rivaluta una comunità travisando la cruda storia vissuta sulla pelle dei concittadini, così come ha caparbiamente fatto il sindaco, il 30 marzo 2009, inaugurando un monumento dedicato ai carabinieri caduti, vittime, anch’esse innocenti, in un grande imbroglio politico di natura internazionale. La mancata partecipazione della quasi totalità dei cittadini la dice lunga su come è stata giudicata tale iniziativa che è apparsa alquanto omertosa sugli abusi subiti dalla nostra comunità. Evidentemente, le “carezze” del famigerato “Don Pasquale” (brigadiere Nicola Sganga, il torturatore più temuto) e dei suoi compari non saranno mai digerite. Ciò che occorre ben ricordare è che il processo di Viterbo e il processo d’appello di Roma furono imperniati sulle dichiarazioni estorte con le barbare torture messe in atto dal brigadiere Sganga che finirono per infangare per sempre la nostra cittadinanza, come ufficialmente e con rammarico ha confermato nel suo ultimo memoriale Salvatore Giuliano”.
Nel 2016 è scaduto il segreto di Stato, poi prorogato al 2020, cioè ad oggi.
Nulla trapela dai faldoni che ancora restano sigillati al ministero degli Interni. La verità storica conserva un grosso debito nei confronti della Sicilia, dei siciliani, degli abitanti di Montelepre, chissà, anche del bandito Giuliano che a Castelvetrano, il 5 luglio 1950, era ospite dell’avvocato Gregorio Di Maria.
Questi dichiarò a due infermieri, poco prima di morire, che al posto di Giuliano fu ucciso un giovane di Altofonte, suo sosia, e che non fu l’autore della strage di Portella, ma la mafia in combutta con la massoneria e la politica.
Leonardo Sciascia, uno dei più acuti osservatori dei rapporti tra la mafia siciliana e lo Stato, ebbe a dire che l’Italia ha perduto la sua innocenza proprio quel 1° Maggio 1947.