di Pasquale Cucchiara
Sono passati 77 anni dallo sbarco anglo-americano in Sicilia. Questa poderosa operazione militare cambiò, dal punto di vista politico/sociale, il volto dell’isola e dell’intera nazione.
La prima diretta conseguenza dello sbarco alleato fu la capitolazione dell’agonizzante regime fascista. Con la presa definitiva dell’isola e con lo sbarco in Calabria si arrivò all’armistizio di Cassibile e, successivamente, alla cobelligeranza con gli alleati, la nascita del CLN, la Resistenza…
Questa è la sintesi nuda e cruda dei fatti.
Analizzando questi processi storici sotto la lente di ingrandimento, si evince che la conquista della Sicilia e del nostro territorio non fu affatto semplice per gli uomini della 7ª armata del generale Patton. Se pensiamo che i soldati italiani di stanza in Sicilia, riuscirono, in un clima di disfatta generale, a resistere per ben trentotto giorni al vigoroso fuoco alleato quando, invece, l’intera e potente Francia cadde nel giro di quaranta giorni, la Polonia in ventinove e la Jugoslavia in quattordici abbiamo il diritto di affermare che si trattò di una vera battaglia e non di una passeggiata di salute come spesso i più “autorevoli” libri di storia tendono a descrivere.
D’altro canto, bisogna evidenziare il clima di festa generale con cui la popolazione civile accolse gli invasori. Nella storia credo che non ci siano precedenti. Alcuni storici sostengono che sia stata la mafia a tranquillizzare e a indurre la popolazione ad accogliere “calorosamente” gli alleati; altri studiosi, invece, sostengono che siano stati i soldati siculi-americani a spingere la popolazione civile ad acclamare i “liberatori”. A 77 anni dai fatti credo che sia arrivata l’ora di separare la storia militare dalla reazione umana all’invasione (antropologia culturale).
Dunque, sia sotto il punto di vista militare sia antropologico, Favara confermò il trend agrigentino: i nostri bersaglieri fecero una onorevole resistenza in contrada pernice e, dopo la loro definitiva sconfitta, i favaresi, il 14 luglio del 1943, accolsero festosamente i soldati anglo/americani.
Dal punto di vista politico, al contrario, Favara si rivelò una vera e propria eccezione nel panorama isolano. Mi spiego: in molti comuni siciliani gli anglo-americani confermarono i podestà o diedero fiducia ad esponenti del MIS (spesso legati alla mafia agraria) o a dei noti mafiosi come Vizzini, Russo e tanti altri mentre a Favara si affermò uno spontaneo comitato cittadino (animato, in verità, dai comunisti!) che propose e ottenne la nomina di Antonio Amico; uno stimato ebanista che aveva avuto qualche esperienza amministrativa prima dell’affermazione del regime fascista.
Di questo e tanto altro ne ho scritto nel mio ultimo che annunciai, proprio dalle pagine virtuali di questo giornale, un anno fa
https://www.siciliaonpress.com/2019/07/12/14-luglio-1943-gli-alleati-americani-entrano-a-favara/
Il filo conduttore è sempre lo stesso: la guerra come sfondo, la Sicilia come spazio, Favara come esempio di come una piccola comunità visse quei difficili momenti sotto molteplici punti di vista. Perseguendo quest’ultimo obiettivo, mi sono pregiato di nuove e inedite fonti, sia scritte sia orali, che mi permetteranno di restituire alla memoria collettiva una pagina di storia molto sentita e tramandata dai nostri anziani congiunti.
Ad ogni modo, nonostante ritenga chiusa la bozza di questo elaborato, resto a completa disposizione per chi volesse rilasciarmi un’intervista o suggerirmi occasioni di ricerca.