Un articolo di Enrico Mentana, analisi perfetta per opportune riflessioni.
L’Italia fu la prima nazione europea a essere investita dalla pandemia. Lo scoprimmo con un fatale ritardo, quando già il virus aveva minato migliaia di vite. Sapemmo del primo caso la mattina del 21 febbraio. Un mese dopo, il 20 marzo, i morti superarono quota 4mila. Quell’ultimo giorno di inverno ci furono 627 decessi. Eravamo i martiri d’Europa, il laboratorio di un contagio che poi travolse tutti. Si elogiarono e si portarono ad esempio il nostro comportamento, la nostra disciplina, la nettezza delle scelte del governo. Ed era giusto farlo. Ma ci siamo fermati lì. Per sei mesi abbiamo parlato del futuro, dei fondi europei, di come siamo stati bravi. Abbiamo affrontato dibattiti che visti a posteriori sono disarmanti sui banchi a rotelle e lo smart working pubblico. E abbiamo dimenticato la seconda ondata. Il virus non era morto, è andato in vacanza con noi e al ritorno è tornato a colpirci sulla strada verso il lavoro, verso la scuola, verso casa. E lì il sistema Italia, da Palazzo Chigi ai comuni passando per le regioni, si è improvvisamente scoperto impreparato e indeciso, diviso e balbettante. Un mese fa il bollettino della Protezione Civile parlava di un totale di 87mila contagi in essere. In trenta giorni sono diventati 635mila, oltre sette volte di più. Le vittime erano arrivate a oltre 36mila, oggi sono più di 43mila, vuol dire 7343 morti in un mese. Dei quali 636 solo oggi. Più che in quell’ultimo giorno di inverno di cui parlavo prima. Ieri i morti erano stati 623, e nel mondo un solo paese ne aveva avuti di più, gli Stati Uniti. Giudicate voi
Enrico Mentana