Il suo primo romanzo è uscito per i tipi della Giulio Perrone Editore di Roma e fioccano le presentazioni in giro per la Sicilia ed in alcune parti d’Italia, oltre a numerose, e a tratti entusiastiche, recensioni apparse su quotidiani e riviste nazionali. Lui, l’autore, è Giuseppe Rizzo, giovane scrittore (che in passato ha collaborato col Giornale di Sicilia, Il Mucchio Selvaggio e Nazione Indiana) originario di Santa Elisabetta, paese dell’agrigentino, ma ormai romano d’adozione. Già nel titolo del libro, “L’invenzione di Palermo”, l’autore sottolinea ironicamente (così come in altre “scene” del romanzo) le particolarità che da sempre accompagnano e caratterizzano il nostro capoluogo regionale: “c’è stata la creazione del mondo…ma il lunedì successivo Dio già si annoiava…inventò Palermo e ci rinchiuse i palermitani: ancora si diverte, anche se non si capacita di cosa sia andato così storto”. Il romanzo (ma non vogliamo ovviamente svelare nulla della trama per non rovinare al lettore il piacere di scoprirne la storia) scorre piacevolmente tra riusciti e divertenti neologismi, un linguaggio crudo ma allo stesso tempo vero ed un intreccio di avvenimenti che fotografano perfettamente una Palermo nella quale non esiste il bianco o il nero, ma tutto sembra essere ammantato di grigio, ovvero l’opaco colore dell’ambiguità e del dubbio. La storia ha per protagonisti, una “turbo-ragazzina” quindicenne con la sua particolare e colorita famiglia, una tragedia familiare, un boss della mafia con gli onnipresenti e caratteristici scagnozzi, uno psicologo eremita (che da dieci anni non esce di casa) e sua moglie, un “principe” e, ovviamente, l’onnipresente Palermo, sfondo ambientale di tutta le vicende narrate, con i suoi odori (non sempre piacevoli), le sue viuzze ed il suo essere un quid di totalmente anomalo posto tra l’imponente bellezza del monte Pellegrino e lo splendido mare che lambisce la città. Abbiamo raggiunto l’autore per un’intervista ed ecco cosa ci ha risposto.
Ciao Giuseppe, una prima curiosità: qual è il tuo personale rapporto con la Sicilia?
Ecco, qui, di solito, si ricorre alle stronzaggini tipo, amore e odio, lontananza e nostalgia. Io preferisco cavarmela con una frase di Leonardo Sciascia: “La Sicilia, come del resto l’Italia, è piena di simpaticoni a cui andrebbe tagliata la testa”.
Dopo aver frequentato e finito l’Università a Palermo, decidi di trasferirti a Roma. Non hai saputo resistere al richiamo della Capitale! Di cosa ti occupi nella “città eterna”?
Lavoro all’Unità, occupandomi per lo più di politica e nuove forme di comunicazione. Eppoi scrivo, chiaramente.
“L’invenzione di Palermo” è il tuo primo romanzo. Pubblicato dalla Giulio Perrone Editore, una casa editrice sempre alla ricerca di nuovi talenti letterari: come ti hanno “trovato”?
Nella maniera più semplice possibile. Avevo scritto dei racconti, che sono passati di mano in mano e sono arrivati al direttore editoriale, che li ha letti e mi ha detto: “Bene, i racconti non te li pubblicheremo mai, ma se te la senti di scriverci un romanzo, e ci piace, ti mettiamo sotto contratto”. Tre mesi dopo avevo firmato il mio primo contratto editoriale.
continua…
Antonio Fragapane
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