Teresa Craparo
Sono Teresa, ho 27 anni e sono infermiera. Esattamente un anno fa ho avuto l’esito della positività al tampone covid-19.
Oramai tutti sappiamo cosa è, conosciamo le sue possibili conseguenze. Io, come tutti i miei colleghi, i medici, gli oss, dovevo essere forte e fare il mio lavoro. Ma non ce l’ho fatta. Sono precipitata nella paura e nel panico. Paura di non farcela da sola. Ho passato giorni con la febbre, fatica a respirare, dolori atroci e paura di non svegliarmi più.
Non avevo la forza di alzarmi dal letto. A mia madre devo tutto che con la sua grande forza che mi dava dietro un telefono a 1200 km di distanza mi svegliava per prendere la terapia e con le sue preghiere mi incoraggiava e mi diceva che tutto si sarebbe risolto. Ce l’ho fatta.
Ventidue giorni di reclusione e poi al secondo tampone negativo si ricomincia a lavorare in un nuovo ospedale. Reparto covid. La mia paura si è trasformata in forza che da allora ho deciso di donare ad ogni paziente.
Ho studiato in Emilia Romagna e ci sono rimasta a lavorare. Sono 5 anni che mi prendo cura del “popolo emiliano “.
In questi anni ho imparato più di quanto potessi immaginare: ho un master, ho partecipato a dei corsi di aggiornamento, ho continuato e continuerò a seguire corsi di formazione per migliorarmi sempre di più.
Tutto questo grazie alla Regione Emilia Romagna ma soprattutto grazie a me perché, non appena sono entrata la prima volta in ospedale ho capito che fare l’infermiera è il lavoro della mia vita. Il buon Dio mi ha messo su questa strada perché probabilmente mi devo donare a tutti quelli che hanno bisogno di cure.
Quest’anno, anzi adesso, nel pieno della terza ondata di una pandemia difficile da gestire,sotto tutti i punti di vista, vissuta in prima persona, ho dato la mia disponibilità all’ospedale di Agrigento, nonché nosocomio del mio territorio nativo, rinunciando anche al “posto fisso” che mi ritrovo ad avere da anni prima a Reggio Emilia ed ora a Parma. Ho offerto la mia disponibilità, non perché io sono chissà quale scienziata, ma perché potrei essere una risorsa in più per aiutare il mio popolo. E sono sicura che altri miei colleghi conterranei farebbero la stessa cosa se “la politica aziendale” desse la possibilità di tornare a casa.
Non ho ricevuto alcuna risposta.
Il mio obiettivo è prendermi cura della persona in qualsiasi parte del mondo ma dopo aver vissuto momenti critici come quello dell’inizio della pandemia, vi assicuro che l’unica cosa di cui ho bisogno, finito il turno infinito è tornare a casa. E per casa intendo la mia famiglia.