A Favara, nel lontano 1912, in contrada Santa Rosalia, a due passi dal vecchio mattatoio, meglio conosciuto come “u macellu”, fu eretta una pesante croce in ferro sopra l’edicola votiva dedicata alla santa.
La croce di Santa Rosalia, donata dai sacerdoti Gesuiti e Liguorini, nasce come simbolo di conversione, come monito, come ammonimento, in un tempo nel quale l’ignoranza, l’inciviltà e lo squilibrio sociale fra i cittadini aveva raggiunto il vertice massimo della tollerabilità.
Ne parliamo con lo storico e ricercatore Pasquale Cucchiara.
“È una storia che ho tratto dai lavori di Salvatore Bosco e Vincenzo Arnone, che ho rivisitato, con un epilogo diverso nel mio libro “Salvatore Bosco, il filosofo del popolo”. I religiosi in quel tempo venivano chiamati a Favara quasi ogni anno, nel periodo quaresimale per catechizzare i cittadini. Padre Stirpi – racconta Cucchiara – il monaco più influente e persuasivo, insieme agli altri diciannove religiosi accorsi con lui, riuscì nel giro di venti giorni ad educare e a convertire gran parte del paese. Col sopraggiungere della settimana santa si raggiunse il culmine di quei preziosi insegnamenti: uomini, donne e bambini manifestarono chiari segni di penitenza, di ravvedimenti clamorosi, di promesse, di propositi, di riappacificazioni fra famiglie in guerra, accompagnate spesso da esplosioni di gioia e pianti”.
Negli scritti dei due autori viene evidenziato che la Matrice, pur essendo la chiesa più grande del paese, non riuscì a contenere tutte quelle persone.
“I padri missionari decisero di dividersi per tutte le chiese del paese: due ‘o Carminu, due a San Vito, due ‘a Madonna e così via “Persino operai, contadini e solfatari, dopo tanti anni, si avvicinarono alla confessione, sacramento mai del tutto accolto dai favaresi; tanto che si ripeteva: “Patri Stirpi s’assetta e cunfessa, l’alma ch’è persa la porta a Gesù”.
La sera del Sabato Santo, verso le undici – continua Cucchiara – al culmine della rappresentazione religiosa, mentre tutte le campane delle chiese suonavano a festa, avvenne qualcosa di veramente straordinario: le donne e le ragazze iniziarono a battere forte le porte delle case con decisi colpi di viti secche, gridando: “Nesci, diavulu, e trasi Gesù nì la me casa un ci ha trasiri cchiù!”
In pratica la promessa di ripudiare la violenza, il furto e di ricambiare il male con il bene fu condivisa da tutta la comunità, persino dai bestemmiatori.
“Fu una Pasqua di solenne precetto, di preghiera la più bella e partecipata di sempre. I Padri, prima di lasciare Favara, ormai rincivilita, posero la croce proprio in contrada Santa Rosalia in modo che dominasse la città. Nel giorno dell’installazione di quel simbolo di pace e timore di Dio si presentò gran parte della popolazione favarese e intanto che muravano la croce , ‘u tammurinaru, un certo Vincenzo Russotto, detto ‘u cacucciularu”, dotato di una grande e bella voce, salito sul poggio, cantava i canti della missione che i Padri avevano pazientemente insegnato. Da allora in poi, come qualche anziano ricorda, si narra:
“Vinniru li Patri
Vinniru di lonna via
La cruci purtaru
‘A Santa Rosalia”.