di Giuseppe Maurizio Piscopo
Lo scrittore Luigi Pirandello prima di morire scrisse: “Mie ultime volontà da rispettare: Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera, non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Nè annunzi nè partecipazioni. Morto non mi si vesta. Mi s`avvolga nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. Carro d`infima classe, quello dei poveri. Nudo. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere, perchè niente, neppure la cenere vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare, sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui. Luigi Pirandello “.
A Favara, ma penso in tutta la Sicilia i momenti più solenni della vita sono il matrimonio e il funerale. Nel passato i matrimoni duravano per tutta la vita. Oggi le nozze d’oro per le nuove generazioni sono solo un frame di un vecchio film in bianco e nero. Il funerale a Favara è stato sempre un momento solenne di grande partecipazione, ma ai miei occhi era anche una rappresentazione teatrale dal vivo.
La folla, i parenti vestiti di nero, il prete, gli orfanelli davanti a cantare strofe incomprensibili per un morto che non conoscevano, la banda che intonava tristissime note che entravano nel profondo dell’anima, soprattutto in chiesa. In fila, c’è un tale che chiede al suo vicino allampanato: “Ma cu murì”? La vicchiareddra anche lei in fila con le altre donne, che chiede curiosa alla comare, comu ti vinni la pasta cu niuru duminica? Ristaru cuntenti i to parenti di San Giuvanni Gemini? Questi discorsi da caffè, contrastavano con le grida dei parenti in prima fila. Quella fila che si ingrossava e si faceva sempre più numerosa.
Ad un certo momento arrivò il tempo per il saluto finale, così ognuno abbracciò e baciò uno per uno, tutti i parenti stretti del morto e si sentì una sola parola: condoglianze! In questi giorni di lutto i parenti più intimi preparano u “cunsulu” pranzo e cena per le persone della famiglia. Per tre giorni si tiene u “bisitu”. Gli uomini rigorosamente in una stanza e le donne nella camera accanto. La porta di fuori è spalancata. Le luci sono tutte accese. La gente continua ad arrivare e si sentono quasi sempre gli stessi discorsi, c’è sempre uno che inizia, come quello che accende il fuoco per l’arrosto in campagna per i dì di festa… Intanto, a fatica salgono le donne anziane che portano sotto la “truscia”, zucchero, caffè, anisette, uova e qualche bottiglia di Cynar con il disegno del carciofo, di imitazione. Una bottiglia comprata al mercato del Venerdì a metà prezzo, e poi ciambelle, il thèrmos con il caffè caldo…
Nella stanza degli uomini si sente qualche discorso, c’è sempre uno che tiene banco: “Ma chi ci vinni u zi Saru era beddru, latinu ultimamente, a scutulari alivi. Ma chi era malatu”? E uno risponde:- “Ma chissacciu, ci affaccia comu un cicireddru nu coddru, stu ciciru n’cumincia a n’grussari a n’grussari finu ca si lu cugli in tri iorna, senza ca i medici ca ci dettiru tanti veleni, pottiru fari nenti per salvarlo!
Nella stanza delle donne, i discorsi erano simili:- La zia Nora:- “Quannu si dici ca unu è distinatu, s’avia accattatu un vistitu novu, a camisa, li scarpi, i cosetti e a na cravatta pupi pupi, ca s’avia maritari so figlia Nina. Mancu stu piaciri potti aviri! Accussi ci tucca n’cignarisi i cosi novi pi iri sinni n’funnu, all’auntru munnu! La vecchia anziana intervenne come un lampo, con i suoi saggi proverbi: “Oggi n’figura dumani n’sepultura, quantu ci havi a picureddra ci avi a picurazza”! Ogni volta che arrivavano nuove persone i discorsi sembravano che cambiassero di tono, come dal barbiere, ma la musica era sempre la stessa e si ritornava al tema principale, come in una canzone già sentita mille volte.
Nella stanza dei maschi si fumava senza freni e il fumo arrivava fino in cielo! “Ed ora a cu tocca sta roba chi lassà u zu Saru, a casa o Chiuppiteddru, a casa di Girgenti e chista da Favara ca i mastri fineru aieri e a ficiru nova, chiese Gioacchino? Risponde un tale: “Si la spartinu i du figli. A proposito, ma quannu arriva so figliu Tanu ca travaglia n’Germania? E’ in viaggiu. Ha avuto la notizia con ritardo ed è n’capu u trenu, arriva dumani matina. La notizia della morte dello zio Saro fece il giro del paese in pochissimo tempo, prima ca appizzassiru i carti, tutti erano informati della ferale notizia. A Favara queste notizie arrivano come frecce.
Ci sono persone tutti allicchettati che vanno in tutti i funerali, come se andassero a teatro. Dicono che fanno il loro dovere, certe volte ci vanno per occhio di popolo. E quando qualcuno gli chiede dov’è stato? Loro rispondono con innocenza, ivu a dari a manu o mortu!
Curiosità
Al cimitero di Favara in una lapide ho letto testualmente:
Qui giace la signora Quaranta
di anni sessanta,
nata nel trenta,
e morta nel novanta.
Proverbi
A cu mori si dici: va ca vegnu, ca cu va prima aspetta lu cumpagnu.
Havi la vera sapienza cu’ a la morti sempri penza.
Vecchiu è cu’ mori, cu’ arresta mancia pani.
Cu pensa sempri a la morti, nun pò piccari di nudda sorti.
Si sapi unni si nasci, ma nun si sapi unni si mori.
Pagari e muriri cchiù tardi chi si po’.
Le foto sono di Renato Bottone.