di Giuseppe Maurizio Piscopo
Dal giorno in cui non ho più l’impegno di entrare nelle aule scolastiche, molto tempo della mia giornata la trascorro leggendo prima i giornali e poi i libri che riesco ad avere. Ho un sogno irrealizzabile: mi piacerebbe leggere tutti i libri del mondo. In ognuno c’è qualcosa di unico da apprendere e da sottolineare nei giorni che ci tocca vivere. La Casa Editrice Medinova Cultura per andare oltre, diretta da Antonio Liotta ha pubblicato centinaia di libri interessanti e di nicchia. Il Moscone ed altri racconti di Teresa Triscari con la copertina e l’introduzione di Nicolò D’Alessandro è per me il punto più alto che ha raggiunto la Casa Editrice di Favara. Il Moscone ed altri racconti è un libro che tutti dovremmo leggere con attenzione. E’ una sorta di viaggio nella cultura italiana e non solo, ricco di sfumature e citazioni colte. Certe volte le pagine mettono allegria, buonumore, altre volte sono nuvolose come il tempo, così com’è la vita con salite e discese. L’ho letto a San Vito Lo Capo ascoltando i suoni del mare. Mentre leggevo mi è venuta l’ispirazione di far ballare il moscone che zigzagava tra le pagine. Così mi succede che appena ho tra le mani questo libro mi viene la voglia di ballare…
Teresa Triscari, critico letterario, saggista, è stata direttore di Istituti Italiani di Cultura all’estero nell’area dell’Europa Centro Orientale.
Ha collaborato con Rai Educational.
Ha pubblicato numerosi saggi di critica d’arte, segnatamente su: Afro, Savinio; Il Secondo Futurismo e Mino delle Site; Laura Pitscheider; L’informale di Francesco Vaccarone, ecc.e di critica letteraria, in particolare su: Elsa Morante; Andrea Camilleri; Vincenzo Consolo; Luis Sepulveda; Claudio Magris; Marisa Madieri,Ryszard Kapuściński, Camil Petrescu, ecc. Attualmente interviene su varie riviste culturali pubblicando saggi di critica d’arte e critica letteraria.
Pubblicazioni recenti: “C’era una volta … e c’è ancora” (Casa ed. Tracce, Pescara2018); “La Sicilia tra Storie e Miti – La grande koinè mediterranea”-(Casa ed. Torri del Vento, Palermo2019); “Il Moscone e altri racconti”: (Casa editrice Medinova, Agrigento, 2020).
Vive e opera tra Cefalù e Roma
Nel suo libro Il Moscone ed altri racconti pubblicato dalla Casa Editrice Medinova di Antonio Liotta scorgiamo spaccati di vita, umori, incontri, riflessioni, racconti di una donna che si inoltra con humour e senso critico nella Storia, nei meandri dell’anima, nelle pieghe più recondite dell’essere. Avvolti in un lirismo soffuso e diffuso, si dipanano dieci racconti, introdotti da altrettante poesie.
Il libro è un viaggio esterno tra luoghi e vicende che non sono mai finzione e viaggio interiore alla riscoperta dell’io complesso e composito della donna e dell’essere donna, oggi come ieri; del ricercare un punto di approdo, una sponda, la “patria perduta“.
Più volte mi sono chiesto è un libro di racconti o è un saggio? O sono poesie sparse che l’autrice non ha avuto l’ardire di pubblicare come tali? O sono soltanto pensieri raccattati qua e là?
Qualcosa saranno. Diceva Joseph Conrad: “Si scrive soltanto metà del libro, dell’altra metà si deve occupare il lettore“. Il libro si compone di dieci racconti introdotti da altrettante poesie e si trasformano ben presto in un percorso intorno alle tematiche della nostra società, in un’incursione nelle problematiche della Donna e dell’essere donna ieri come oggi. I racconti, per l’Autrice, sono sempre dei pretesti per aprire un dialogo con il lettore, intendendo guardare al di là della maschera che ognuno di noi conserva. Non a caso il libro si fregia di due citazioni di apertura: “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti” (Pirandello) e “Benvenuti a teatro dove tutto è finto ma niente è falso” (Gigi Proietti).
Il primo racconto, “Il Moscone”, che apre la raccolta, di fatto rappresenta una sorta di introduzione al libro, una chiave di lettura amena, un attacco in do minore. Un attacco, comunque. Ma è presente, in maniera pregnante, anche la problematica dei Migranti che tornano sempre di qua e di là, dal moscone, anche lui un migrante, aggrappato ai cocci del bellissimo vasetto Art Deco andato in frantumi; a Nonna Angela che si vede strappare l’Amato Bene dall’America delle migrazioni; ai “Quarantasette Migranti e due Gattini” dove, oltre ai migranti, c’è una giovane donna che è il capitano della nave – ben diversa da un altro capitano di nostra memoria – che porta in salvo, oltre i migranti stessi, anche due Gattini (e qua c’è tutto un traslato sul divenire storico-politico: due gattini che “sono due maschi ma ragionano come due femmine”); fino ai migranti presenti nell’ultimo racconto, “Oltre il Muro”…
Per conoscere meglio Teresa Triscari poniamo cinque domande.
Quando nasce l’idea di scrivere questi racconti?
L’idea nasce sempre per caso e ogni storia ha una storia diversa. Per esempio, “Dopo il Muro”, narra un episodio realmente accaduto che era presente in modo pregnante nella mia memoria poiché avevo assistito di persona, nel 1989, all’avventura dei tedeschi dell’Est asserragliati presso l’Ambasciata di Bonn a Praga cui avevano chiesto asilo politico (Io mi trovavo a Praga in qualità di direttore del locale Istituto Italiano di Cultura). Ma l’idea del racconto si è presentata in occasione del trentennale della caduta del muro, quando ho letto vari documenti e testimonianze sulla situazione dei tedeschi dell’Est che, a tutt’oggi, continuano, per molti versi, a non avere la stessa situazione dei fratelli dell’Ovest. È stato in quell’occasione che mi è tornato in mente l’episodio della bambolina di pezza trovata di fronte l’Ambasciata di Bonn:una bambolina caduta da un grande camion delle immondizie che stava “ripulendo” l’Ambasciata dopo che i richiedenti asilo politico avevano ottenuto il lasciapassare per l’Ovest. Quella bambolina era rimasta lì, sulla strada. “Forse anche lei, come tutti i bambini, con quello sguardo rivolto verso l’alto, cercava gli arcobaleni”. Qua finisce il racconto e quasi conclude anche il libro che, in realtà, è un intreccio di storie e argomentazioni diverse: di carattere storico, sociale, politico umano. E, soprattutto, di speranza.
Ma il libro, nella mia mente, non finisce qua perché quella bambolina mi ha ricordato i tanti bambini abbandonati della Romania dove ho avuto un’esperienza molto profonda, che mi ha segnata e maturata.
Quando ho iniziato questo libro, volevo scrivere soltanto dei racconti divertenti ma poi la scrittura mi ha preso la mano ed è nato qualcosa di diverso dove sono presenti episodi storici, fatti di cronaca, problematiche relative alla Donna, ai Migranti, agli animali, al nostro grande patrimonio artistico apprezzato moltissimo anche all’estero. Si sono presentati, uno dietro l’altro, tanti … “personaggi in cerca d’autore” (mi è consentita la citazione pirandelliana?)
Nel moscone qualche critico arguto ha ravvisato molti difetti degli uomini?
No assolutamente, figuriamoci!
Gli uomini hanno voluto tutti autoassolversi da una latente “incriminazione” ravvisando nel “Lui” presente di qua e di là nel libro una persona di famiglia per poter dire…”Ecco, poverina!”, trovare il colpevole, insomma. In realtà si tratta di tanti “Lui” che ho sempre avuto modo di “apprezzare” in circostanze diverse: chi era abile in lavori di idraulica, chi in lavori di elettricità, di muratura, di giardinaggio, ecc. E poi ci sono gli strateghi del sapere e della politica; dell’economia e della finanza; delle innovazioni tecnologiche e scientifiche. Uomini che ti suggeriscono tutto: persino come lavare i piatti. Ricordano tanto il personaggio “Risolvo problemi” di “Pulp Fiction” o, parlando di Storia, il divertentissimo Franceschiello: “armiamoci e partite”. Mi diverto tanto ad ascoltarli e, soprattutto, a vederli all’opera… e che opera! L’opera dei pupi è nulla al confronto. Li descrivo così bene perché è come se io fossi sempre in prima fila, seduta comodamente in una platea di teatro. Non è stato difficile scrivere questi racconti perché, come dice Pirandello, come ci ricorda Claudio Magris, le storie sono tutte qua, sotto i nostri occhi, bisogna soltanto trascriverle. In altre parole, noi siamo soltanto dei coautori. A tal proposito mi piace ricordare un episodio legato al giovane Saba che, durante il periodo del servizio militare, vince un premio di 50 Lire per la pubblicazione di una poesia (Siamo nei primi del Novecento, sono gli anni in cui si canta “Se potessi avere mille lire al mese”). Tornando in caserma, il commilitone suo vicino di branda, gli disse che metà di quella somma spettava a lui perché era stato proprio lui a ispirargli quella poesia e, pertanto, ne era coautore. Saba trovò la richiesta giusta e divise con lui la somma. Ecco, per usare l’espressione del commilitone di Saba, che faccio subito mia, noi che scriviamo siamo spesso coautori.
Hai mai pensato che questi racconti riportano alla scrittura dei grandi scrittori russi come Nikolaj Vasil’evic Gogol?
Amo molto Nikolaj Vasil’evic Gogol, ma amo anche tantissimo Calvino, Elsa Morante, Luis Sepúlveda, Jorge Louis Borges.
Ma sicuramente in me Nikolaj Vasil’evic Gogol ha lasciato una traccia: satirico, grottesco, visionario e fantastico si fondono e si confondono di continuo nella mia scrittura. Gogol è certamente uno dei miei padri letterari.
Come se la passano gli animali in questo tempo, vivono felici o soffrono anch’essi la pandemia?
Soffrono anche loro, molto. Pensiamo agli animali lasciati soli in campagna. Prima gli “umani” andavano più o meno regolarmente a portar loro da mangiare. Adesso questi animali servono spesso soltanto come elementi giustificativi per l’autocertificazione; poi, in molti casi, si va da tutt’altra parte.
Hai mai pensato di tradurre i tuoi racconti in inglese?
Sì, ho pensato che sarebbero molto vicini all’humour inglese.
Grazie per avermelo ricordato.