Giuseppe Maurizio Piscopo
Giuseppe Casà è nato a Favara nel giugno del 1938 ed ha svolto la difficile professione di maestro elementare.
Ha insegnato da giovanissimo in Sardegna dove ha vissuto per 15 anni. Ma Favara lo ha attratto sino al punto da fargli rinunciare al trasferimento definitivo in Canada dove vivevano tutti i suoi familiari.
Ha pubblicato diversi libri “A famiglia sbardillata”, “ A fattura” e una considerevole raccolta di proverbi, più di 500, ed ha scritto “Tozza di Vangelo” del popolo favarese, una commedia sempre in dialetto favarese in tre atti che si intitola U Baruni che è stata rappresentata in teatro riscuotendo grande successo di critica e di pubblico. Con la raccolta “Cosi passati di na vota” Giuseppe Casà riporta a galla quanto di più bello, di più puro e di più caro possiede la nostra comunità.
Giuseppe Casà si dispiaceva del fatto che i favaresi stavano perdendo le loro tradizioni, le loro radici. Per la sua visione del mondo è stato un vero peccato non riuscire a conservare le cose che ci hanno lasciato i nostri nonni. Per Giuseppe Casà la nostra cultura è stata offesa e mortificata, quindi bisogna tentare di salvare almeno “li muddrichi” di quello che resta del nostro patrimonio culturale. I giovani devono riscoprire la lingua addotata dai padri e i sentimenti che sono racchiusi soprattutto nel dialetto così unici e pittorici che sono la vera ricchezza espressiva di ogni uomo di quest’isola.
Ho conosciuto Giuseppe Casà da giovane. Ricordo di aver parlato molto con lui e di aver condiviso momenti spensierati. Risate, poesie qualche bicchiere di vino. Le sue poesie colgono le sfumature, i colori e i sogni dei favaresi. Vorrei cominciare da qui, proponendo una poesia che amo profondamente dal titolo:
U cavallaggeri di zuccaru.
Quanti ricordi tornanu a la menti,
ora ca sugnu iuntu a li vicchiagli,
ricordi tinti e belli di na vota
ca li ripassu sulu cu u pinzeri.
Scavannu tra i ricordi di carusu,
mi veni ntesta a notti di Natali,
quannu pi la scarsizza e u malu stari,
ci acchiava sulu un cavallaggeri.
Ranni, mpunenti e tuttu culuratu,
mi arricciava tutta a fantasia,
ma un si mangiava, si tinia sarbatu,
a cumpariri dintra a cristallera.
Cull’occhi mu mangiava taliannu,
mentri la vucca amara mi ristava
e quannu un c’era nuddru apprufittava
e di darrè, scantatu, lu liccava.
A furia di taliari e di liccari
arrimuddrava ddru cavallaggeri
pirdiva la mpunenza e lu culuri
e i aspittava arrè l’antru Natali.
Sono parole di grande saggezza, riflessioni di un poeta che ha vissuto ed ha conosciuto da vicino i segreti della vita. Il maestro ha saputo cogliere nel profondo i sentimenti della povera gente, la mentalità di molti siciliani. Il cavallaggeri rimaneva conservato per un anno a fare bella mostra di sé. Le donne favaresi amano conservare le cose pregiate per gli ospiti, hanno le “cristallere” piene di piatti, tazze, bicchieri e ninnoli che non usano quasi mai. Li tirano fuori soltanto nelle feste principali o quando ricevono degli ospiti per mostrare la loro grande generosità. Così dopo anni ed anni spacchettano lenzuoli, asciugamani, tovaglie e servizi pregiati che certe volte si prendono di umidità e si rovinano perché conservati a lungo. Come se queste cose non appartenessero alla famiglia e facessero parte di un mondo che vivranno gli altri. I figli non amano queste cose. Un giorno ho visto rompere la tazza di un servizio e la padrona di casa si prese un dispiacere così grande che ha rinunciato al pranzo e i parenti hanno dovuto chiamare il medico … Nella poesia di Giuseppe Casà vengono affrontati tutti i temi della vita con un occhio attento alle feste, ai sentimenti dei bambini e dei vecchi, sempre con grandissima umanità e profonda partecipazione.
Per raccontare Giuseppe Casà mi sono avvalso della testimonianza di tre amici comuni: Sergio Castellana, Giovanni Marchica e Giuseppe Piscopo.
Testimonianza di Sergio Castellana
Giuseppe Casà, maestro di scuola elementare, ma tutti lo chiamavamo Peppi Casà.
L’ho conosciuto nel settembre del 1976 a Radio Favara 101. Che dire di Peppi Casà, era un uomo sempre allegro, pronto alla battuta, solare, colto e sempre disponibile.
Al di là delle sue doti poetiche, non sto qui ad elencare le tante opere dialettali sia teatrali che in poesia, infatti circa due anni fa venne istituito il Premio “Peppe Casà” con un convegno tenutosi al Castello Chiaramonte di Favara, Peppi Casà era un amante della radio e riusciva, con la sua caparbietà a condurre qualsiasi tipo di trasmissione radiofonica: dagli eventi sportivi, a quelli culturali, musicali e di intrattenimento; era anche un capace conduttore di dibattiti politici, e all’epoca a Radio Favara se ne organizzavano tanti. Il suo notiziario era seguitissimo tant’è vero che quando denunciava le inefficienze sulla manutenzione stradale cittadina, per via delle tante buche, prontamente l’amministrazione comunale provvedeva alle riparazioni. Peppi Casà aveva anche un’ottima dizione e per queste sue qualità molto spesso approfittava, ma in buona fede, a strappare di mano il microfono a chicchessia per prendere, come si suole dire, la situazione in pugno. Ho un bellissimo ricordo e credo che difficilmente potrò incontrare un’altra persona come Peppi Casà.
Ciao Pé.
Testimonianza di Giovanni Marchica
La mia amicizia con Giuseppe Casà risale agli anni ‘50 del secolo scorso, quando, da alunno della scuola elementare parificata del Collegio S. Antonio dei Padri Francescani di Favara, l’ho incontrato per la prima volta in veste di giovane insegnante agli inizi della sua carriera. Molti anni dopo ci siamo ritrovati da colleghi e da allora non ci siamo più persi di vista. Alla fine degli anni ‘70 la nostra amicizia si è consolidata, complice in ciò la quotidiana frequenza degli Studi di Radio Favara 101, dove Peppe, come era chiamato dagli amici, si era distinto soprattutto come mattatore di diversi affollatissimi quiz a premi, con la presenza del pubblico in studio, che in quegli anni spopolavano, favoriti in ciò anche dal clima di autentico pionierismo di quanti, come noi, avevano salutato con entusiasmo la fine del monopolio RAI e la nascita delle cosiddette “radio libere”.
Nel 1996, con Lillo Vetro e Vincenzo Arnone, ho scritto la prefazione al suo libro
Viscuglia di ricordi (di cosi passati, pubblicato con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale di Favara,che ripropone le liriche del precedente Cosi passati, cosi di ‘na vota (1989), arricchito di nuove ed importanti composizioni.
Nel maggio di quello stesso anno, presso la sala consiliare del Comune di Favara ‒ alla presenza di un numeroso e qualificato uditorio, oltre che dell’allora sindaco Lorenzo Airò, dell’assessore allaCultura Antonio Moscato e di quello ai Beni Culturali Giuseppe Piscopo ‒ ho tenuto una conversazione con l’Autore, nel corso della quale sono emersi i motivi ispiratori della sua poetica,che possono essere brevemente così sintetizzati:
‒ protagonista assoluta delle opere di Peppe Casà è Favara, che giganteggia dalla prima all’ultima pagina delle sue opere, di cui egli riesce a far rivivere come per incanto i luoghi e i personaggi più caratteristici («Paisi miu», «A Giateddra», «O mè maistru di scola», «I mè cumpagni di scola»),nonché le tradizioni e i “riti” («I jochi di na vota», «U cavallaggeri di zuccaru», «Nill’aria»,«Metiri», «U zitaggiu di na vota»);
‒ dal punto di vista linguistico, Peppe Casà non si limita al recupero e alla valorizzazione, pur importanti, dei termini e delle espressioni della tradizione popolare favarese, ma riesce a cogliere e a perpetuare il valore e la funzione dell’imprescindibile simbiosi tra la lingua siciliana e favarese da una parte e la cultura e la tradizione popolari dall’altra.
‒ Ma egli si rivela profondamente e autenticamente poeta soprattutto quando (e lo fa quasi sempre) riesce a superare la mera dimensione localistica, particolare, dando ai personaggi, ai luoghi, ma anche ai sentimenti rappresentati il taglio dell’“universalità”.
Mi piace concludere questo breve ricordo dell’amico, ancor prima che collega, Peppe Casà, con le parole contenute nel testo della prefazione cui ho accennato, che si riferiscono alla poesia “E Cristutalia”, che giudicavo, allora, e ancor oggi giudico, la più bella della sua vasta produzione poetica, “la cui struttura, ma specialmente il serrato e ossessionante ritmo narrativo [a cui hacontribuito in maniera determinante la scelta del verso senario], ricordano il migliore Buttitta,quello, per intenderci, di alcune poesie de
Il poeta in piazza
(Milano, Ed. Feltrinelli, 1974)”.
Testimonianza di Giuseppe Piscopo
Conosco Peppe Casà, per me il Maestro, da quando ero piccolo. Lui abitava a 10 metri dall’autoscuola di mio padre, a ridosso della centralissima Via Roma, da tutti conosciuta come a strata nova. E spesso quando da bambino mi trovavo lì mi affascinava ascoltare i suoi racconti, le storie di una volta, i tanti proverbi dialettali. E spesso mi interrogava di geografia, la mia materia preferita. Da ragazzo sono rimasto colpito dalle sue conoscenze e soprattutto da una stridente situazione: parlava benissimo il dialetto favarese ma allo stesso tempo aveva una impeccabile dizione italiana, curata nei minimi particolari. Quella voce, abbastanza “calda” come si dice spesso nel linguaggio radiofonico, diventò familiare non solo per i suoi alunni e vicini di casa ma per migliaia di favaresi e non che avevano scoperto il mondo dell’etere. Bastava una radiolina con una semplice modulazione in FM, sintonizzare il canale sui 101 o 88.900 MHZ e Peppe Casà ti entrava in casa attraverso i due canali di Radio Favara 101. L’ho prima apprezzato come giovane ed assiduo radioascoltatore: nei quiz, nei programmi sportivi, nel notiziario. Poi da diciottenne quasi da collega. Era la stagione che mi avvicinava al mondo del giornalismo e Radio Favara 101 è stata e rimane una mia grande palestra, con tanti maestri. E tra questi Peppe Casà. Non era iscritto all’ordine, non era un giornalista pubblicista ma era un cronista a 360°. Con lui ho avuto la fortuna di condividere anni del Notiziario, insieme ai vari Mimmo Felice, Peppe Moscato, Pasquale Palumbo e tanti altri. Lui era uno dei più raffinati lettori: ottima dizione ed un modo elegante di porgere le notizie locali ad una platea che aveva sempre, nelle case, nei negozi, sulle auto, una radio sempre sintonizzata sulle antenne della collina di San Francesco. Ricordo con piacere le tante conduzioni del “Pomeriggio sportivo”. Peppe Casà non era un tifoso o competente sportivo, ma la domenica pomeriggio guai a levarci la conduzione delle trasmissioni. Lui in studio ad aggiornare i risultati della schedina e noi cronisti a raccontare le partite del Favara dal “Comunale” o da ogni campo della Sicilia. Domenica dopo domenica stessa scena. Neanche il tempo di gustare la pasta al forno preparata dalla moglie e Peppe Casà con la sua 112 color nocciola era già alla radio nella sala trasmissioni. Una nuvola di fumo per le continue sigarette, una radiolina sintonizzata su Radio Uno ad aspettare gli aggiornamenti di Enrico Ameri e Sandro Ciotti, la schedina sul tavolo e l’interruzione delle nostre dirette per aggiornare i risultati. Classiche alcune “chicche” storiche dettate dalla fretta di dare le notizie, come per esempio: “Ad Atalanta Juve in vantaggio” o “A Sampdoria pareggio del Milan”. Molto pungente nelle tavole rotonde di politica locale o nelle interminabili dirette sui consigli comunali. Radio Favara 101 con lui e con tanti altri da radio privata e commerciale offriva un servizio che neanche le radio pubbliche erano in grado di fare, per puntualità, assiduità e prodotto finale. Frequentandolo alla radio diventammo grandi amici, nonostante la differenza di età. E sapere di avere la piena fiducia di un Maestro come Peppe Casà per me era una grande cosa. Poi ho scoperto in lui una grande vena poetica. E mi sono innamorato della sua poesia. I suoi versi ti entravano nel cuore non solo per le rime, ma per la morale che ti lascavano dentro. “E Cristo talìa”, vero capolavoro, per me rimane la poesia più bella e che merita di essere studiata in tutte le scuole. La mia carriera fortunatamente mi ha permesso di vivere due esperienze importanti: quella politica e quella scolastica. E da amministratore prima come Assessore ai beni culturali e da docente di scuola elementare (come lui) ho cercato di valorizzare e rendere ancora più grande l’opera del Maestro. Da Assessore mandando in stampa “Viscugli di ricordi” (ristampa e aggiornamento di “Cosi passati, cosi di na vota), promuovendo in tante iniziative culturali la sua arte e la sua poesia. E da docente presentando in tante città dove ho insegnato tante sue composizioni. Tra tutte “Natale di na vota”, un inno ad una festa religiosa che il consumismo ha ridotto solo a momento commerciale. La cosa bella è che ho fatto imparare a memoria e ripetere la poesia ad alunni, non solo di Favara, ma di Porto Empedocle, Agrigento, Gela, Licata e Palma di Montechiaro. E con gli alunni di quest’ultimo paese ho dovuto faticare tanto per far ripetere il verso “i carusi acchiavanu i riala” perché nella città del Gattopardo la lettera h si perdeva per strada ed i “carusi acciavanu i riala”. Ma anche senza h la poesia di Peppe Casà non modificava il suo valore. Favara non deve dimenticare mai questo grande figlio. E la scuola ha il dovere di metterlo sempre al centro della proposta didattica.