di Giovanni Marchica e Giuseppe Maurizio Piscopo
Favara ha dato i natali a grandissimi pittori come Toni Pecoraro, Marck Art, Carmelo Antinoro, Vincenzo Patti, Paquale Farruggia, Giuseppe Pecoraro, Calogero Bellomo, Ignazio Cinquemani, Amelia Russello, Alberto Crapanzano ed altri ancora.
Ogni pittore meriterebbe una scheda sulla sua arte e, sul suo lavoro di grande interesse culturale e artistico che onora e fa conoscere Favara nel mondo. Per raccontare la poliedrica attività culturale di Turi Morello ho chiesto la collaborazione di Giovanni Marchica, che ha curato un libro sul pittore favarese di grande interesse e mi ha fornito il materiale storico e fotografico. Queste storie sui nostri personaggi vanno raccontate a futura memoria affinchè la memoria non si disperda e le nuove generazioni possano farne tesoro.
Turi Morello nasce a Favara (AG) il 1° agosto 1926, sesto di otto figli, da una famiglia di umili contadini.Il padre, coadiuvato dai figli più grandi, lavora in qualità di mezzadro nella tenuta dell’avvocato Giuseppe Vita Giglia in contrada Misìta, a pochi chilometri dalla foce del fiume Naro.
Già in tenerissima età sperimenta l’asprezza del lavoro dei campi: è poco più che un bambino quando viene condotto per la prima volta in campagna in occasione della bacchiatura delle mandorle. La madre e le sorelle gestiscono il forno di proprietà della nonna paterna, dove egli si rende utile consegnando a domicilio il pane ai clienti con la tradizionale “cartèddra” (gerla).
A diciott’anni è già un uomo: la miseria e gli stenti ne hanno prematuramente forgiato il carattere. Così lavora a giornata nei campi, “addruàtu”, come si diceva allora, di “scuru e scuru”, dall’alba al tramonto, specialmente durante il periodo della mietitura.
Giovanissimo, scopre di avere un talento naturale per la musica: così passa dalle prime serenate ai canti religiosi, alle lamentazioni del Venerdì Santo, finché, preso sotto l’ala protettrice dell’avvocato Vita, intraprende gli studi al Conservatorio Massimo Bellini di Catania.
Gli anni della giovinezza non sono costellati solo da avvenimenti lieti, come accade per la sonora bocciatura al concorso per voci nuove bandito dal Conservatorio di Santa Cecilia di Roma nel 1947, dove l’esecuzione di “Canterò… e ben andrò lontano” dalla “Wally” di Alfredo Catalani è un solenne fiasco, dal quale riuscirà a riprendersi con difficoltà.
Ma ben più numerosi sono i successi collezionati negli anni successivi: si esibisce con i soprani Maria Callas, Maria Caniglia e Renata Tebaldi, con i baritoni Gino Bechi e Tito Gobi.
Nel settembre del 1955, assieme agli altri allievi del maestro Santonocito (Cettina Fichera, Vita Amantia, Giuseppe Di Stefano [basso, solo omonimo del celebre tenore di Motta S. Anastasia] e Mari Dante), debutta al Teatro Massimo Bellini di Catania nel “Matrimonio segreto” di Domenico Cimarosa.
Nel settembre del 1958 intraprende la trionfale tournée americana, nel corso della quale, il 20 dicembre, dà un applauditissimo concerto alla Town Hall di New York, per l’occasione stracolma di italiani, ma soprattutto di siciliani.
Durante gli anni della maturità, nel 1977, improvvisamente nasce in Morello un nuovo grande amore, quello per la pittura, incoraggiato e sostenuto da un altro pittore favarese, Angelo Nona Parello, allora titolare di un’avviata galleria d’arte in corso Sicilia, a Catania. Nel giro di pochi anni diventa uno dei massimi esponenti siciliani della pittura naïf, partecipando a numerose importanti mostre e dando vita complessivamente ad oltre duemila soggetti.
Anche in campo pittorico non mancano le affermazioni: nel 1978, ispirandosi ai ricordi della sua infanzia, realizza i quadri per una collettiva al Palazzo Valle di Catania. Il presidente del “Foyer des Artistes” di Roma, il critico d’arte Mario Morelli, presente alla mostra, lo invita ad esporre nella sua galleria della capitale e al Palazzo Barberini per la chiusura dell’anno accademico 1979-1980 del “Centro Internazionale di Cultura e di Arte”.
Dal 25 ottobre all’8 novembre 1980 espone presso il Centro d’Arte “Il Capitello” di Palermo.
Nel maggio del 1981 è presente a Livorno con una personale alla Galleria “Gino Fremura” e, immediatamente dopo, a Milano e a Roma presso il Palazzo Barberini al Centro Internazionale di Cultura e di Arte “Foyer desArtistes” e al “Club dei Musicisti”.
Dopo Livorno è la volta di Norimberga, in Germania.
Sempre nel 1981, espone a Milano una sessantina di tele aventi come oggetto il lavoro dei campi e le tradizioni popolari siciliane.
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Il primo incontro di Giovanni Marchica con Turi Morello, al secolo Salvatore Morello Baganella, risale all’inverno del 1991, quando per il neonato periodico “La Mela”, di cui era redattore capo, scrisse l’articolo “Favara nella memoria”.Molti anni dopo, nel febbraio del 2005, tornò ad occuparmi del tenore-pittore favarese, questa volta con un articolo, “Turi Morello, immagini e suoni di una vita”, apparso nelle pagine del mensile agrigentino “AgrigentOfferte”.
La stesura dei due articoli, con la fitta trama di incontri personali intercorsi con l’autore che essa comportò, diede modo a Marchica «di conoscerne ed apprezzarne le eccezionali doti di uomo e di artista, tanto che ‒ scriveva allora ‒ in un’epoca in cui l’educazione e la cultura sono caratterizzate dall’assenza quasi completa di valori […],il suo percorso umano e artistico meritano di essere additati alle giovani generazioni come uno dei rari modelli positivi di uno sviluppo personale e sociale autonomo, in grado cioè di trovare nella propria interiorità materia e alimento».
Così, quando nell’autunno dello stesso anno 2005, l’amministrazione comunale di Favara, per festeggiarne l’ottantesimo compleanno, gli affidò l’incarico di curare un libro-catalogo sulla sua figura e sulla sua opera, non ebbe alcuna esitazione: l’occasione era troppo ghiotta perché se la lasciassi sfuggire.
Vide la luce, allora, il libro “Turi Morello”, frutto di mesi di lavoro di studio e ricerca, che compendia in maniera necessariamente sintetica ‒ data la vasta mole di materiale a disposizione (opere, contributi critici, cataloghi relativi alle varie mostre tenute in Italia e all’estero, ecc.) ‒ la vita e l’attività pittorico-canora del Maestro.
Di Turi Morello l’hanno affascinato sin da subito, e continuano a farlo a distanza di decenni, assieme al conclamato talento artistico, anche e, soprattutto, le doti morali: Morello è un artista completo, ma è anche e soprattutto «un uomo che ha saputo realizzare in sommo grado dentro di sé gli attributi fondamentali che al concetto di umanità afferiscono, primi fra tutti l’assoluta integrità morale e l’incondizionata onestà intellettuale».
L’intero arco della sua esistenza, a cominciare dall’infanzia, caratterizzata da condizioni di vita oltremodo difficili, è stato contraddistinto dall’indefesso contrasto agli innumerevoli ostacoli e difficoltà della vita, che non lo hanno mai visto dòmo, ma che, anzi, ne hanno vieppiù rafforzato la convinzione che il primo dovere della vita è quello di viverla, sicché il suo motto potrebbe essere: “Frangar, non flectar” (mi lascerò spezzare, ma non piegare).
Nella prefazione al libro si legge: «Il suo spirito indomito e la sua straordinaria forza morale sono passati indenni attraverso l’impietoso scorrere del tempo; i suoi due grandi amori, il canto e la pittura, a dispetto dell’età, hanno ancor oggi limpidi riflessi aurorali; il “fanciullo” che è dentro di lui continua, malgrado tutto, a scalpitare con l’impaziente curiosità e l’ammirato stupore degli anni giovanili e a manifestarsi ora in tele che, dal punto di vista artistico, non hanno nulla da invidiare a quelle più note ed apprezzate della maturità, ora in composizioni poetico-musicali traboccanti di umanità».
Nonostante tutto, Turi Morello ha conservato intatta la sua straordinaria tempra di lottatore, dimostrando fino alla morte, avvenuta il 29 novembre 2012 a Favara, quando aveva ottantasei anni, una vitalità, un ottimismo e una fiducia nelle inesauribili energie interiori del genere umano, mirabilmente sintetizzati nella frase conclusiva della bozza della sua autobiografia che, purtroppo, non ha mai visto la luce: “La mia mente vacilla e i contorni dei miei ricordi qualche volta appaiono sbiaditi, ma la storia di Turi Morello contadino-tenore-pittore, ma soprattutto uomo e nonno felice, continua.”