Il Museo archeologico regionale Pietro Griffo, una delle più importanti istituzioni museali della Sicilia, ha fatto da suggestiva cornice, ieri sera, alla piece teatrale, di forte impatto emotivo, “Anime che si chiamano”.
Si tratta di un’opera partorita, con la gestazione di una notte insonne, dalla mente della vulcanica Antonella Morreale: attrice, regista, scrittrice, poetessa, insegnante, presidente, oltre che dell’Ass.ne teatrale Arcobaleno, con sede a Favara e a Roma, che si è esibita ieri sera, anche del CIF (Centro Italiano Femminile) di Favara diventato, su sua iniziativa, “La casa del bambino” (primo esemplare in Sicilia e secondo in Italia) che ha lo scopo di offrire alle coppie in attesa di un figlio, ma con risorse limitate, la possibilità di avere, gratuitamente, un corredino degno di un principe o di una principessa, generi alimentari e servizi vari.
Il ricavato della serata è stato destinato, appunto, all’acquisto di corredini da consegnare al “CIF-Casa del bambino” intitolato alla N.D. Maria Ghibellini Turco.
Se è vero che le Anime si chiamano, saranno state quelle del generale Alberto Dalla Chiesa, della di lui moglie, Emanuela Setti Carraro e dell’agente scelto della Polizia di Stato, Domenico Russo, ieri sera ricorreva il 39° anniversario del loro assassinio, a convocare, presso quello che fu il Chiostro di San Nicola, le Anime delle vittime di mafia: magistrati, testimoni, poliziotti, madri, mogli, figli… che ci hanno reso partecipi delle loro storie, del loro dolore lancinante, del loro intimo struggimento.
Seneca scriveva: “Lieve è il dolore che parla, il grave è muto”, ebbene, con quest’opera Antonella Morreale ha voluto dare finalmente voce al dolore muto delle vittime di mafia e dei loro familiari, al dolore sordo ad ogni parola di conforto; ha voluto, in qualche modo, far sì che ciascun’ anima si mettesse a nudo; ciascuna bocca, zittita dalla mafia, gridasse in modo catartico il proprio strazio per riuscire ad esorcizzare una pena davvero troppo grande per poterci convivere senza impazzire.
Gli spettatori sono stati trasportati, agevolati dalla suggestiva location, in una dimensione altra nella quale Il mondo reale e quello surreale, separati da un velo sottilissimo, sono riusciti a toccarsi per qualche attimo; il profondo dolore, l’angoscia, la rabbia, i pensieri mai espressi si sono fatti quasi personaggi essi stessi, materializzandosi, tanto erano palpabili! Un turbinio di stati d’animo che ha catturato la platea rimasta col fiato sospeso e con gli occhi lucidi durante ogni “quadro” efficacemente dipinto, con mille sfumature di sentimenti, dagli interpreti. Assente in questa tavolozza di colori solo la rassegnazione, perché se è vero che i corpi sono stati uccisi, non può dirsi lo stesso per le loro idee e per i valori in cui credevano e per i quali hanno sacrificato la loro vita.
Nella sua opera la Morreale ha voluto anche presentare la Sicilia nelle sue due facce, nella sua radicata e contraddittoria dualità: Sicilia, terra di Mafia e di violenza; e Sicilia: splendida terra dalle mille bellezze e ricchezze, che non si piega, ma si ribella.
Un messaggio di speranza, dunque, quello sotteso all’opera, ovvero quello che il sacrificio di coloro che si sono battuti fino ad immolare la propria vita sull’altare della Giustizia non vada perduto, ma sia da sprono soprattutto alle nuove generazioni.
La regia, a differenza delle precedenti rappresentazioni, è stata curata congiuntamente da Antonella Morreale e Franco Sodano e andrà nuovamente in replica, a Roma, presso il teatro Ghione, nel mese di dicembre.
La serata ha avuto abbrivio con la lettura della poesia “Sorrisi”, da parte della sua autrice, Daniela Ilardi,
e si è, poi dipanata attraverso l’interpretazione di quattordici attori-attrici accompagnati dalle mirabili note della fisarmonica di Gigi Finestrella.
In apertura, le due Sicilie: quella “cattiva”, Lia Cipolla e quella “buona”, Ida Agnello; a seguire:
Angelita Butera: Emanuela Sansone la prima donna vittima di mafia a Palermo nel lontano 1896;
Simona Carisi: Francesca Morvillo moglie di Giovanni Falcone, interpretato da Lillo Pecoraro, morta con lui nell’attentato di Capaci il 23 maggio 1992;
Teresa Cinque: Emanuela Setti Carraro moglie del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, morta con lui e con l’agente Domenico Russo nell’attentato di via Isidoro Carini a Palermo il 3 settembre 1982. Ieri cadeva il 39° anniversario del loro brutale assassinio!
Annamaria Bennardo: Felicia Bartolotta, mamma di Peppino Impastato ucciso a Cinisi il 9 maggio 1978;
Giusy Urso: Emanuela Loi, agente di scorta di Paolo Borsellino, uccisi nell’attentato di via D’Amelio a Palermo unitamente agli altri agenti di scorta il 19 luglio 1992;
Oriana Paolocà: Ida Castelluccio, moglie di Nino Agostino, incinta di due mesi uccisa assieme al marito, agente del Sisde, a Villagrazia di Carini il 5 agosto 1989;
Il padre di Nino, Vincenzo Agostino, presente alla rappresentazione, ha offerto una preziosa testimonianza di forza, coraggio, perseveranza, volontà, determinazione, dignità. L’uomo, ottantaquattrenne, non taglia la barba e i capelli, da 32 anni ovvero da quel tragico giorno, e non li taglierà finché non verrà, finalmente, fatta luce su tutta la vicenda e puniti tutti i colpevoli!
Susy Indelicato: Rita Atria, testimone di giustizia legata alla figura di Paolo Borsellino che si suicidò, a 17 anni, subito dopo la strage di via D’Amelio;
Carmelo Capodici nei panni del giudice Paolo Borsellino;
Laura Pompeo: Rosalia Corbo mamma del giudice Rosario Livatino assassinato dalla “stidda” sul viadotto Gasena sulla SS 640 il 21settembre 1990;
Alessio Piscopo: Giuseppe Di Matteo, ucciso a 15 anni per ritorsione contro il padre Santino, mafioso e poi pentito. Giuseppe fu prima strangolato e poi il cadavere fu sciolto nell’ acido;
Damiano Piscopo che ha interpreto Stefano Pompeo: il ragazzino di Favara vittima innocente di mafia ucciso in contrada Lucia Favara il 21 aprile 1999.
Ha presentato la serata Lilia Alba, in sostituzione di Margherita Trupiano.