di Luigi Sferrazza architetto
La discussione sul nome della piazza principale di Favara va avanti a Favara da alcuni anni. In questi giorni il dibattito è ripreso in modo più attento e incisivo. Mi rendo conto che ridare il nome alla piazza centrale di Favara, coerente con la sua storia e con il popolo che la vive è una decisione delicata. Il mio scritto vuole essere solo una delle tante voci che popolano la riflessione e il dibattito che interessa l’intera città.
La piazza centrale di Favara
La Piazza centrale di Favara, ‘a chiazza come la chiamano i favaresi, è la piazza più grande dei comuni dell’agrigentino, (più grande ed estesa di piazza Scandaliato di Sciacca) luogo privilegiato di appuntamenti collettivi, cuore riconoscibile e riconosciuto del centro antico di Favara, resa ancora più preziosa dalla presenza del Castello Chiaramontano,
Nell’aggregato urbano di Favara, “il centro antico” costituisce la parte centrale, il punto di riferimento dell’intero organismo, sempre meno abitato, sempre meno consistente di fronte ad una periferia che, negli anni, si è allargata a vista d’occhio, ma che resta pur sempre la parte più significativa dell’intera città, quella più ricca di segni, di significati, di motivazioni.
La Favara antica è ricca di spazi, di percorsi, di luoghi, di un tessuto viario originale e di un aggregarsi spontaneo di case che compongono la trama viaria e fanno la cultura e l’identità della comunità che li ha vissuti.
‘A guardia, ‘a cruci, ‘u conzu, ‘u poiu di S.Cal , ‘i setti curtiglia, ‘e canali,’ u chianu ca; questi ed altri ancora sono nomi di quartieri, di zone, di luoghi che non indicano solo un sito ma modi culturali di vivere, relazioni sociali vissute; a governarli tutti, come luogo privilegiato ‘a chiazza che non è di un quartiere, ma dell’intera città, appartiene a tutti.
Ancora oggi lo sguardo percorre quei luoghi, spesso sfigurati e fatiscenti e sente che qui la città parlava alla mente di chi la abitava marcando la rappresentazione della sua identità.
Oggi guardando alla periferia estesa che porta con se i caratteri della ‘non identità’, della ‘non forma’ viene spontaneo ripensare con nostalgia a quella che era la città e che oggi ci piace osservare in vecchie cartoline illustrate che la rappresentano com’era prima, perché il collegamento tra la città antica e la sua nuova periferia è forte e visibile: anche i nomi degli abitanti sono rimasti uguali come anche l’accento della parlata, e perfino i lineamenti delle facce.
Il cuore antico della nostra città si costituisce ancora oggi come luogo della memoria e svolge a livello sociale una funzione identitaria sempre più ricercata.
Evocando e citando Calvino con le sue preziosi osservazioni ne Le Città Invisibili, ci viene da dire che, come nella Diomira di Calvino, anche a Favara gli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati dèi estranei.
Forse non è esagerato affermare che ‘a chiazza, e attorno alla piazza, è successo qualcosa di più: si è consumato il rito della cacciata degli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi e la loro sostituzione con dèi estranei.
E’ successo appesantendo la piazza con manufatti fuori contesto e ingombranti (penso all’edificio delle poste e a qualche palazzo di troppo cresciuto a dismisura su quello che una volta costituiva area di pertinenza del Castello); ma è successo anche ‘appiccicando’ alla Piazza una denominazione estranea alla sua identità e alla sua storia.
La piazza di Favara negli scritti di Luigi Pirandello
Non ho niente contro Cavour che certamente è stato un grande statista protagonista della nascita dell’Italia unita e non mi permetto di entrare nella polemica di storici e critici sul suo contributo alla formazione della Nazione. Ma quella denominazione di ‘Cavour’ data alla Piazza è artificiosa e non fa onore allo stesso Cavour, perché è una denominazione ‘appicicata’, estranea ai luoghi e al sentire del popolo. Denominazione estranea anche agli intellettuali agrigentini di quel periodo. Luigi Pirandello conosceva bene ‘a chiazza, la piazza, se il suo lungo e documentato romanzo I Vecchi e i Giovani trova l’impianto della scena finale nella Piazza centrale di Favara. Pirandello conclude il suo romanzo raccontando le peripezie del protagonista Mauro Mortara che, a 68 anni, senza un soldo in tasca e con la sola ricchezza delle sue medaglie di vecchio garibaldino al petto, si recava a Favara «ove in un poderetto di là dall’abitato, viveva un suo nipote contadino». Siamo agli inizi dell’ultimo decennio del XIX° secolo, meno di dieci anni dopo la titolazione della piazza a Cavour. Il vecchio garibaldino «Dal cantoniere di guardia ebbe notizia che nonostante la proclamazione dello stato d’assedio, alla Favara tutti i socii del Fascio disciolto, nelle prime ore della sera, s’erano dati convegno nella piazza e avevano assaltato e incendiato il municipio, il casino dei nobili, i casotti del dazio…». E all’alba, quando stordito dalla stanchezza… si unisce alle truppe sabaude che «tra una fitta sassaiola» irrompono tra i rivoltosi favaresi sparando sulla folla, «La piazza apparve come schiantata e in fuga anch’essa dietro gli urli del popolo che la disertava…» Cavour era lontanissimo e totalmente estraneo a quella piazza in fuga anch’essa dietro gli urli del popolo.
Oggi rivedere il nome della piazza con un toponimo legato alla sua storia e alla storia di Favara e della sua gente non è solo opportuno ma necessario; ancor più se indicativa di un percorso di rigenerazione urbana sostenibile che le nuove classi e organi dirigenti di questa città dovrebbero intraprendere (anche con un confronto serrato e necessario di posizioni e di idee diverse).
La piazza nodo regolatore dello sviluppo urbano e culturale di Favara
La Piazza ha una forte centralità nella identità della comunità cittadina non solo perché ancora oggi è il luogo degli appuntamenti collettivi, ma anche perché, a partire da essa ha preso forma e significato lo sviluppo dell’aggregato urbano.
E’ difficile ricostruire la storia dello sviluppo della città.
Favara nasce e si sviluppa come borgo contadino. Il sito del primo nucleo è nei pressi dell’attuale fonte Canali. E’ sarà la fonte d’acqua a suggerire agli arabi intorno al X° secolo il nome del nuovo casale da loro fondato: Rahal-Fewar.
Di quel primissimo periodo non c’è traccia anche se alcuni elementi della Favara antica fanno pensare ad una organizzazione dell’abitato di tipo arabo.
Dopo gli arabi il territorio siciliano è fortemente caratterizzato della presenza e dal governo illuminato di Federico II. Nell’area del Castello di Favara sono consistenti le tracce e le testimonianze di una presenza Sveva prima ancora di quella Chiaramontana.
In questo periodo in tutta la Sicilia la popolazione dalle campagne preferisce riparare nelle città: quindi tutto fa pensare che il vecchio casale arabo, quando diventa feudo dei Chiaramonte, sia quasi spopolato e che il vecchio borgo comincia ad avere consistenza quando i nuovi signori decidono di realizzare il castello come residenza estiva della loro famiglia, a partire dal XIII° secolo; ma sarà sempre un borgo contadino caratterizzato da una vita povera e di stenti sovrastata dalla esosa presenza dei Chiaramonte rimasti famosi nella storia di Agrigento come i signori mai sazi dei nuovi “balzelli” che impongono alla popolazione. Anche le abitazioni del borgo rispecchiano questa situazione. La presenza superba del castello Chiaramonte sovrasta le povere casupole che per diverso tempo avranno le caratteristiche di “paglialora”.
La vita dei campi del feudo dei Chiaramonte per quanto dura, dovette essere molto intensa e produttiva anche dopo la loro scomparsa: il borgo si sviluppa e si ingrandisce sempre di più. Dapprima attorno al triangolo compreso tra fonte Canali, il Castello e la Chiesa del Feudo, la Chiesa di S.Nicola. Più tardi, nel XVI° e XVII° secolo, comincia ad espandersi verso il convento dei Carmelitani (‘o carminu) che si insediano a Favara nel 1574 nella Chiesa che viene loro ceduta dai Frati Minori Francescani che dall’originario convento di Sant’Antonio, ceduto ai Carmelitani, si spostano nella collina di San Francesco.
Da questo periodo in poi Favara si espande e cresce sempre più e si comincia a delineare il disegno della piazza principale dove alcune casupole fanno posto dapprima alle Chiese di Santa Rosalia (1626), del Rosario (primi del ‘700), Sant’Onofrio (che nasce quasi accanto alla Chiesa di Santa Rosalia e che ora è scomparsa) e poi, alla fine del ‘700 e nell’800, alle dimore dei nuovi signorotti locali che nell’800 costituiranno la ricca classe agraria di Favara.
Lo sviluppo di Favara tra il XVI° e XVII° secolo avviene in modo quasi del tutto spontaneo formando percorsi e spazi che hanno la tipica caratteristica medievale, adattandosi al sito, seguendo l’andamento ondulato del terreno, rispettando i solchi naturali che l’acqua piovana si era creata precipitando dalla montagna alla valle.
La via Umberto “a strata longa”, è l’esempio più consistente di questo tipo di strade.
Più tardi, fine del XVIII° e XIX° secolo con l’aumento progressivo della popolazione, con l’espandersi della città anche a monte, fino a delineare la formazione di un cuore, si creano alcuni elementi ordinatori dello sviluppo urbano: sono la piazza principale che viene arricchita dei palazzi dei signori locali e ‘a strata nova che acquista consistenza con alcuni sventramenti operati dalla pubblica amministrazione tra ‘a strata longa (la via Umberto) e ‘u chianu ca (piazza Garibaldi), per dotare appunto, Favara di un asse viario importante. La città antica di Favara alla fine del XIX° secolo ha raggiunto la forma che conosciamo con quartieri, cortili, slarghi, vaneddi, vie che costituiscono l’identità del suo popolo. Al centro la Piazza.
Recuperare l’antico come straordinaria voglia di modernità e di innovazione
Ridare il nome ‘a chiazza, coerente con la sua storia e con il popolo che la vive è una operazione e decisione delicata: il nome del luogo è documento della «storia globale» in grado di informare sullo spazio vissuto, sul genere di vita, strutture sociali e costumanze, sui rapporti materiali e culturali con l’esterno. Il superamento del nome ‘piazza Cavour’, che in questa luogo è assolutamente anonimo e slegato dalla storia del popolo favarese, è un atto dovuto alla città di Favara e alla sua memoria.
Il recupero della identità del luogo, si collega direttamente con il tema del recupero delle tradizioni, dei prodotti come anche del recupero fisico dell’intero centro antico e della rigenerazione urbana sostenibile: si avverte il bisogno di richiamare gli dèi che abitavano sotto i nomi e sopra i luoghi, cacciati via dalla fine traumatica dell’economia agricola o della estrazione dello zolfo, dall’avvento emigrazione, del cemento e dalla globalizzazione.
Recuperare l’antico è poca cosa se è solo una patetica nostalgia di ci che non c’è più: ma pu costituire, invece, una straordinaria voglia di modernità e di innovazione.
In una società sempre più globale e virtuale cresce il valore attribuito ai legami identitari e alle appartenenze locali: questi legami trovano indubbiamente nel centro antico uno spazio per superare l’anomia generata dai processi di globalizzazione. La riscoperta dei legami identitari se attivata pu aprire nuovi ed inediti scenari nella valorizzazione delle eredità culturali della tradizione e quindi anche di turismo culturale e di sviluppo. Ogni sforzo di recupero dell’antico pu costituire qualcosa di più di una mera operazione, pur sempre nobile, di conservazione e di sana nostalgia: pu essere il seme di una speranza, un riscoprire per ricostruire la voglia di futuro.
La Piazza, con il suo castello costituisce il luogo fisico in cui la comunità dei favaresi vive e riscopre la sua appartenenza. Questo luogo, sintesi della memoria del passato, ha una insostituibile funzione sociale di aggregazione che pu e deve dare vita a una progettualità condivisa per rendere socialmente ed economicamente produttivo l’inestimabile valore della storia, della cultura locale e dei luoghi fisici che li hanno generato.