Giuseppe Maurizio Piscopo
La realtà della zolfara ha segnato la gioventù di Luigi Pirandello, il quale soleva recarsi ad Aragona per coadiuvare il padre gabelloto, ma anche per intrattenersi con i suoi amici per le vie e le taverne del centro minerario. Ben quattro opere significative dello scrittore si basano su vicende legate alla zolfatara: dal romanzo socio-politico “I vecchi e i giovani”alla novella “Ciaula scopre la luna”, mentre “Il fu Mattia Pascal” vide la luce proprio nell’anno del disastro della miniera Taccia-Caci. Bisogna affermare che tutta la storia di Aragona legata profondamente al mondo delle zolfatare è stata ingiustamente trascurata, poiché Taccia-Caci rappresenta uno dei luoghi pirandelliani più significativi, uno dei viaggi sentimentali dell’anima. Per Pirandello secondo Sciascia ( come ha scritto nel libro Pirandello dalla A alla Z ), la zolfara non fu soltanto uno spunto per l’avventura letteraria, ma una realtà amara, fonte di personalissimo disastro, una disavventura che sconvolse la sua vita e soprattutto quella della moglie Antonietta Portulano. Taccia-Caci fu distrutta nel 1903 a causa di un rovinoso allagamento. Il disastro provocò il dissesto finanziario della società dei Pirandello, nella quale erano stati investiti, fra l’altro, le 70.000 lire ( una vera fortuna per quel tempo) che Antonieta Portulano aveva portato in dote a Luigi.
Il corvo di Mizzaro è una novella scritta da Luigi Pirandello che fa parte della raccolta Novelle per un anno (1922). Apparve per la prima volta su «Il Marzocco», 26 ottobre 1902 e presenta una versione leggermente diversa rispetto a quella pubblicata col nuovo titolo nella raccolta Il carnevale dei morti, Battistelli, Firenze 1919. Nella presentazione filologica della novella si nota come inizialmente essa sia stata diffusa con un titolo differente che richiamava i numeri della smorfia napoletana (Corvo 77- Asino 23 – Caduta 80).
La novella racconta di alcuni pastori sfaccendati che non avendo niente di meglio da fare trovarono nei monti di Mizzaro un grosso corvo che covava le uova. Si meravigliarono per ciò che avevano appena visto, infatti è strano che un maschio svolga il compito di una femmina e per questo iniziarono a insultarlo. Il corvo protestò, ma nella sua lingua che non poteva essere capita dai pastori, i quali, non contenti, dopo averlo tormentato, lo portarono al paese, gli legarono un campanellino al collo e poi lo liberarono. Dovunque andasse il corvo si sentiva il tintinnio del campanello.
Un giorno, Cichè, un contadino che lavorava nel suo fondo, sentì il suono di un campanello, ma non capendo da dove provenisse pensò che ci fossero gli spiriti. I capelli gli si rizzarono sulla testa. Da tre giorni tutte le volte che andava a prendere dal suo tascapane il pane e la cipolla, il suo magro pranzo, trovava solo la cipolla. Si era convinto che gli spiriti ce l’avessero con lui, ma non ne fece parola con nessuno, neanche con sua moglie, perché secondo antiche credenze gli spiriti non amano che si parli di loro, altrimenti diventano più aggressivi.
Dopo un po’ di tempo nelle campagne si sparse la notizia del corvo ladro e Ciché decise a questo punto di vendicarsi. Mise nel tascapane, oltre alla cipolla e al pane, alcune fave e un pezzo di spago. Mentre il suo asino pascolava da una parte, Cichè preparò l’esca per catturare il corvo, le fave collegate allo spago. Il primo giorno il corvo si fece sentire ma non cadde nell’inganno. Il giorno seguente però il corvo afferrò una fava e la inghiottì, ma lo spago gli rimase nella gola. Non appena se ne accorse, Ciché, uscì allo scoperto, gli si avvicinò e gli diede due pugni in testa, poi lo legò per i piedi e lo appese ad un albero nell’attesa che giungesse l’ora di rincasare. Durante il viaggio di ritorno a casa lo appese alla sella: il suo nemico sembrava morto ormai. Cichè gli diede una botta e quello emise un grido che fece spaventare il ciuco, che cominciò a correre. Inutilmente il suo padrone cercò di calmarlo, tutte le volte che il corvo sbatteva da una parte per il movimento, gridava e l’asino si imbizzarriva sempre più. Il giorno dopo trovarono l’asino e il suo padrone sfracellati nel fondo di un burrone mentre il corvo svolazzava libero e beato con il suo campanello.
L’ambientazione è la campagna siciliana, luogo che Pirandello ha usato spesso per le sue novelle. Il clima è molto caldo (gran vampa del sole) e non spirava alito di vento. Nelle campagne regna la solitudine, vi sono alberi e piante, non ci sono persone nelle vicinanze e non se ne sente la loro voce nemmeno a distanza. È proprio per non patire la solitudine Ciché parla con gli animali e si spaventa quando sente un suono strano e che non aveva mai sentito prima in quel luogo: il suono del campanellino. La morale di questa storia è che l’uomo non deve mai vendicarsi e non se la deve prendere con gli animali, ma deve cercare di affrontare le difficoltà della vita ridendoci su qualche volta.
Ma andiamo ad ascoltare dalla viva voce di Nino Seviroli artista- artigiano di Aragona le curiosità che pochi conoscono su questa storia.
La vogliamo raccontare l’altra faccia del corvo di Mizzaro, chi successe a Pirandello e comu fu?
Lo scrittore agrigentino si trovava ad Aragona e lui ci veniva spesso perché suo padre aveva le miniere di zolfo, la Taccia Caci nella fattispecie era di proprietà di Stefano Pirandello per gentile concessione del principe Naselli. Luigi Pirandello veniva ad Aragona due, tre volte la settimana perché aveva un pugno di amici, conosceva molte persone, aveva gli interessi e gli piacevano molto le ragazze di Aragona che sono bellissime, si diceva che Pirandello veniva ad Aragona per le signorine. Ma veniva a siggiri i grana e si nni iva a truvari Alfio Collura che era l’uomo di fiducia di suo padre.
Ma cosa è successo realmente nella storia del Corvo di Mizzaro che molti siciliani non conoscono?
Il professore Pio Nono Licata nel suo libro dal titolo “Divagazioni Pirandelliane”, mi ha raccontato prima di scriverlo, che la vicenda non si svolse al Mizzaro, ma tutto successe ad Aragona nella zona Vucali, quando da Aragona si va verso a Sabetta, tre chilometri dopo Aragona e tre chilometri prima di arrivare a Sabetta, metro più, metro meno. Il protagonista del racconto si chiamava Giuseppe Miccichè abitava ad Aragona nu curtigliu di li vaccareddri nella via Archimede. Il cognome Miccichè alla fine diventò Cichè. Stu cristianu Giuseppe Miccichè na mattina si nni stava iennu n’campagna, e i so figli che mai l’avissiru fattu, ci addumannaru un passaru di primu volu. Iddru n’caglia un carcarazzu e si l’attaccà ni la vardeddra, mentri stava arrivannu n’campagna, ni li timpi, drocu vicinu a la Buffa, u carcarazzu n’cumincia a muzzicari lu culiddru di u sciccareddru e a forza di muzzicari, u sciccareddru si imbizzarrì e vularu tutti di na timpa. Accussì mureru u scicareddru e Giuseppe Miccichè ca i a finiri dra sutta ni lu burruni, lu corvu rista vivu tuttu niuru e cuntenti comu si nenti avissi fattu!. Giuseppe Miccichè aveva tre figli e la muglieri giovanissima, mischinu quannu lu purtaru intra fu un disastru, na tragedia ca n’un si po’ cuntari. Ni lu curtigliu di Giuseppe Micciche ad Aragona ci stava un certo Salvatore Tuttolomondo che era di Raffadali, che aveva il pregio di potere firmare, solo che quando firmava il nome ed il cognome era così lungo che il tavolino finiva e non gli bastava, tant’è che la firma per esteso non la potè mettere mai. Tuttolomondo aveva un figlio solo, di 15 anni ed il figlio finì al nord a fare la guerra e morì mentre cantava Il Piave mormorò non passa lo straniero. E dopo la morte del figlio Salvatore Tuttolomondo fece un’azione nobile, adottò i figli di Cichè, di Giuseppe Miccichè. La muglieri l’addrivà comu si dici lu curtigliu, ci stinnicchia na manta d’amuri e di protezioni e chista fu la storia di Giuseppe Miccichè che Luigi Pirandello con la sua grande arte ha fatto diventare Cichè nel corvo di Mizzaro un capolavoro da leggere ai bambini. Così t’haiu cuntatu chiddru chi cuntava lu prufissuri Pio Nono Licata nelle “Divagazioni Pirandelliane” e ti ho raccontato la vera storia del corvo di Mizzaro che è il corvo di la Buffa.
Pirandello amava gli animali e li osservava attentamente?
In questa novella c’è u sceccu, u corvu, ci sono gli animali e in molte novelle di Luigi Pirandello o all’inizio o alla fine c’è sempre la presenza di un animale nel senso più bello del termine. Agli animali che si trasformano manca solo la parola e guai all’uomo che si mette contro di loro ci perderà sempre…
Il pensiero poetico di Nino Seviroli dedicato ai lettori di Sicilia On Press
Molte persone hanno perduto il senso della meraviglia, corrono distratti senza una meta, hanno gli occhi spenti non sanno più guardare il cielo, li stiddri, l’occhi sinceri di li picciliddri , l’arbuli, i lattuchi, i carduna ca criscinu cu i cacocciuli. Che mondo è diventato il nostro?
Un ringraziamento va a Franco Salamone originario di Aragona che vive a Milano per avermi proposto l’altra parte della storia del corvo di Mizzaro raccontata con molta eleganza da Nino Seviroli.