Gaetano Scorsone
Sono trascorsi dieci anni da quella sera del 13 marzo 2013, quando, dalla Loggia centrale di Piazza San Pietro, il cardinale Jean-Louis Tauran annunciava al mondo l’elezione di Jorge Mario Bergoglio. Di nazionalità argentina e appartenente ai chierici regolari della Compagnia di Gesù, salendo al soglio pontificio con il nome di Francesco, il neo eletto pontefice veniva salutato dai numerosissimi fedeli presenti in Piazza San Pietro come il 266º papa della Chiesa cattolica e vescovo di Roma, Primate d’Italia. Si presentava come il primo papa della storia non europeo e soprattutto il primo ad ispirarsi, nella scelta del nome, a Francesco d’Assisi, implicitamente dimostrando, da subito, il suo punto di vista sul modo di vedere la religione e di considerare la Chiesa. E già dal suo primo improvvisato discorso sono emerse le qualità del buon pastore che vuole servire al meglio il suo prezioso gregge, facendogli percepire, senza equivoci di sorta, che lui ci sarà sempre, che non si stancherà mai di ascoltarci, di capirci, ma anche di richiamarci, di stimolarci e, infine, di perdonarci: «Fratelli e sorelle, buonasera! Voi sapete che il dovere del conclave era di dare un vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo, ma siamo qui. Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo vescovo: grazie! E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca. E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima – prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me». Sono così trascorsi dieci anni che hanno visto acuirsi problematiche come quelle relative all’ambiente, ai sempre più numerosi sbarchi di immigrati, in sempre più numerosi casi, trasformati in tragedie del mare, alla conseguente loro accoglienza, alle diseguaglianze sociali, alla crisi economica, all’emarginazione delle periferie, al degrado morale ed alla cosiddetta cultura della scarto, alla guerra in Ucraina. Su ciascuno di questi fronti – e su tanti altri ancora – Papa Francesco si è sempre espresso in maniera chiara ed estremamente efficace, individuando le responsabilità, denunciando le inefficienze, scuotendo le coscienze, richiamando alle proprie responsabilità. Ben tre le Encicliche scritte quale suo contributo spirituale per il discernimento di un’umanità sempre più confusa, plagiata e preoccupata dai pericoli del presente e dalle minacce del futuro: Lumen fidei (29 giugno 2013), Laudato si’ (24 maggio 2015), Fratelli tutti (3 ottobre 2020). Si aggiungano, inoltre, diverse Lettere ed Esortazioni Apostoliche fra le quali l’Evangelii gaudium, Amoris laetitia e Gaudete et exsultate. E per celebrare l’importante ricorrenza del decimo anniversario del suo pontificato, piuttosto che dilungarmi in discorsi dedicati alla sua meritoria missione pastorale, ho estrapolato delle frasi dai suoi efficacissimi discorsi attraverso le quali ho cercato di ripercorrere e condividere l’estrema attualità del suo pensiero e la saggezza dei suoi consigli e delle sue visioni in difesa delle persone e dell’umanità intera, secondo la salvifica Verità del Vangelo che è in grado di guidare noi tutti alla salvezza eterna. Ringraziamo, dunque, Papa Francesco per il conforto spirituale amorevolmente a noi offerto, mentre gioiamo per il traguardo del suo decimo anniversario di pontificato. Al tempo stesso, invochiamo su di lui la benedizione di nostro Signore perché lo protegga e lo sostenga nell’esercizio del suo delicato ministero per lungo tempo ancora.
“La fede ci dà quello sguardo di bontà sugli altri che ci fa superare la tentazione della rivalità troppo accesa e dell’aggressività, ci fa comprendere la dignità di ogni persona, anche di quella meno dotata e svantaggiata.”
“La speranza fa entrare nel buio di un futuro incerto per camminare nella luce. È bella la virtù della speranza; ci dà tanta forza per camminare nella vita”.
“La carità è un dono! Non è un semplice gesto per tranquillizzare il cuore, è un dono! Io quando faccio la carità dono me stesso! Se non sono capace di donarmi quella non è carità. Un dono senza il quale non si può entrare nella casa di chi soffre”.
“A voi giovani vi è consegnato un compito arduo e affascinante: stare in piedi mentre tutto sembra andare a rotoli; essere sentinelle che sanno vedere la luce nelle visioni notturne; essere costruttori in mezzo alle macerie, ne sono tante in questo mondo di oggi, tante; essere capaci di sognare, e questo per me è chiave, un giovane che non è capace di sognare è diventato vecchio prima del tempo. . . Perché questo fa chi sogna: non si lascia assorbire dalla notte ma accende una fiamma, una luce di speranza che annuncia il domani. Sognate, siate svegli, e guardate il futuro, con coraggio”.
“La famiglia insegna a non cadere nell’individualismo e equilibrare l’io con il noi. È lì che il “prendersi cura” diventa un fondamento dell’esistenza umana e un atteggiamento morale da promuovere, attraverso i valori dell’impegno e della solidarietà”.
“Coltivare e custodire il creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti”.
“La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune”.
“La missione della scuola è di sviluppare il senso del vero, del bene e del bello, che non sono mai dimensioni separate ma sempre intrecciate”.
“Da ogni terra si levi un’unica voce: no alla guerra, no alla violenza, sì al dialogo, sì alla pace! Con la guerra sempre si perde. L’unico modo di vincere una guerra è non farla”.
“La Chiesa siamo tutti! Tutti! Dal primo battezzato, tutti siamo Chiesa, e tutti dobbiamo andare per la strada di Gesù, che ha percorso una strada di spogliazione, Lui stesso. È diventato servo, servitore; ha voluto essere umiliato fino alla Croce. E se noi vogliamo essere cristiani, non c’è un’altra strada. Ma non possiamo fare un cristianesimo un po’ più umano – dicono – senza croce, senza Gesù, senza spogliazione? In questo modo diventeremo cristiani di pasticceria, come belle torte, come belle cose dolci! Bellissimo, ma non cristiani davvero! Qualcuno dirà: “Ma di che cosa deve spogliarsi la Chiesa?”. Deve spogliarsi oggi di un pericolo gravissimo, che minaccia ogni persona nella Chiesa, tutti: il pericolo della mondanità. Il cristiano non può convivere con lo spirito del mondo. La mondanità che ci porta alla vanità, alla prepotenza, all’orgoglio. E questo è un idolo, non è Dio. È un idolo! E l’idolatria è il peccato più forte!”.