Alla fine degli anni venti, il segretario della “Sezione combattenti e reduci della prima guerra mondiale” di Favara era un sergente in congedo. Fervido antifascista e convinto oppositore del regime, era malvisto da molte personalità del paese agrigentino e stette anche alcuni mesi in carcere per non essersi voluto iscrivere al Partito Nazionale Fascista. Lui si chiamava Calogero Marrone e la sua toccante e poco conosciuta vicenda è stata raccontata dai giornalisti Franco Giannantoni e Ibio Paolucci nel loro libro, scritto a quattro mani e significativamente intitolato “Un eroe dimenticato”. Marrone era un impiegato del comune di Favara, il quale, in anni in cui emigrare al nord non era ancora divenuto una drammatica necessità, nel 1931 si trasferisce in Lombardia assieme alla moglie ed ai loro quattro figli, a seguito della vincita di un concorso per applicato comunale al comune di Varese. Ma apparve subito chiaro che il suo trasferimento non fu solo dettato da motivi lavorativi ed il suo giungere nel capoluogo varesino si rivelerà una circostanza colma di significati e conseguenze. Nel suo nuovo ufficio, Calogero Marrone dimostra sin da subito di possedere notevoli doti intellettuali, organizzative e direttive, tanto da diventare molto presto capo dell’Ufficio Anagrafe Comunale già nel 1937. Ma dopo l’armistizio dell’08 settembre del 1943, che fece cessare le ostilità militari contro le truppe anglo-americane, avviando nel contempo quelle con gli ex alleati tedeschi, Varese, città di frontiera, divenne la meta prescelta da migliaia di militari di leva e di ebrei, consapevoli del fatto che rappresentasse una delle migliori aree strategiche per il passaggio nella vicina e neutrale Svizzera, a ragione considerata la terra della salvezza. Alla frontiera, infatti, solo i cittadini in regola con i documenti di riconoscimento o con gli obblighi militari venivano autorizzati a passare il confine, per gli altri l’unica risposta ricevuta era l’essere respinti o, peggio, arrestati. Fu in quel periodo che Calogero Marrone, già componente del gruppo partigiano “5 giornate del San Martino”, essendo sempre più fermamente convinto che ciascun cittadino italiano degno di questo nome avrebbe dovuto combattere contro il regime fascista, ideò un inedito, semplice quanto efficace stratagemma, ovvero sfruttare la sua importante posizione di Capo dell’Ufficio anagrafe per rilasciare migliaia di documenti d’identità falsi ad ebrei ed antifascisti che a lui o al suo gruppo si erano rivolti per un aiuto, in tal modo permettendo loro di superare facilmente il confine e mettersi in salvo. Fu infatti grazie a lui che intere famiglie di ebrei, private anche dei più elementari diritti dalle deprecabili e famigerate “leggi razziali” del 1938, poterono scampare il pericolo di una sicura ed inevitabile deportazione nei lager tedeschi e che numerosi dissidenti del regime poterono organizzarsi, appena fuori dall’Italia, in gruppi di assistenza ai molti resistenti e partigiani operanti fino a Roma. Si salvarono davvero in tanti, come risulta dalle molte testimonianze (alcune anche ufficiali e giurate innanzi ad un notaio) che nel corso degli anni sono state raccolte. Ma poco dopo più di tre mesi di intensa attività presso il suo ufficio di Palazzo Estense, una denuncia mise fine a tutta l’attività di appoggio e soccorso documentale concepita e realizzata da Marrone, che fu sempre fortemente cosciente degli altissimi rischi personali e professionali ai quali si stava esponendo, consapevolezza che però non gli impedì di portare avanti il suo personale progetto.
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Antonio Fragapane
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