In Sicilia, la data del 25 maggio (era il 1947) è legata al concetto di “arte della democrazia”, ovvero quella particolare propensione all’intesa dialettica che veda la partecipazione di tutte le parti e che sia finalizzata alla decisione più condivisa possibile. Un antico legame con la nostra isola, anche se, a volte, non risulta poi così chiaro, soprattutto in riferimento a ciò che della nostra terra hanno fatto biechi luoghi comuni o superficiali e scontate analisi pseudo-sociologiche.
La nostra storia isolana è da secoli caratterizza da una “presenza” a volte palese, altre sottaciuta, ma quasi sempre costante nella sua essenza fondamentale: ci si riferisce all’istituzione parlamentare, ovvero a quel parlamento siciliano, la cui storia risulta essere essenziale per capire quali siano state la vicissitudini, i fatti e le situazioni che hanno determinato, definito, ed alla fine forgiato intere epoche di storia siciliana.
Innanzitutto, occorre partire da un dato significativo: il parlamento siciliano, inteso non come luogo fisico ma come istituzione politica, è da considerare tra i più antichi al mondo. Probabilmente, se si considerano la competenza e la relativa funzione legislativa svolta, risulta essere il più antico tra quelli ancora oggi attivi e funzionanti, poiché i suoi “concorrenti” islandese e faroese, forse ancora più antichi, non annoveravano l’attività deliberativa tra le loro prerogative istituzionali. E la prova storica di tale primato è costituita dalla documentazione relativa alla prima convocazione dell’assise rappresentativa siciliana avvenuta nel 1097 a Mazara del Vallo ad opera del re Ruggero II, che di lì a qualche anno avrebbe consolidato il potere normanno in Sicilia con la costituzione del Regnum Siciliae, stabilendo un totale controllo politico-militare sull’isola. Il luogo di tale prima convocazione dimostra l’originaria natura itinerante dell’istituzione, che all’inizio era suddivisa in tre rami di rappresentanza: il primo era costituito dal c.d. braccio “feudale”, rappresentativo della classe nobiliare che controllava le contee e le baronie esistenti nell’isola. Il secondo ramo era quello c.d. “ecclesiastico”, che rappresentava la classe clericale esistente ed operante in Sicilia nei ruoli cardinalizi, episcopali e sacerdotali. Infine, il terzo braccio parlamentare era quello c.d. “demaniale”, ovvero rappresentativo delle città libere che non fossero sottoposte al controllo di vescovi o baroni.
Sin dall’inizio della sua istituzione in epoca normanna, l’organo parlamentare siciliano ha sempre esercitato non solo il potere legislativo, limitatamente alle proprie competenze riconosciutegli, ma anche un potere di controllo sull’operato e sull’azione della massima autorità politica esistente a quel tempo in Sicilia: il re. Ovviamente, però, tale assetto di competenze non deve far pensare ad una natura eminentemente democratica dell’istituzione parlamentare, così come oggi noi la intendiamo, poiché, infatti, i suoi membri non erano elettivi, ma al contrario, utilizzando spesso criteri afferenti il loro spessore e la loro posizione politico-sociale, venivano scelti e nominati fra gli uomini più potenti delle tre classi rappresentate, in tal modo circoscrivendo e limitando, di fatto, il potere di controllo di cui si è scritto poco sopra.
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Antonio Fragapane
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