Questa è una storia realmente accaduta, svoltasi in tempi lontani. Tempi in cui gli uomini erano spesso in lotta tra loro, in lotta per un pezzo di terra, a volte anche solo per un pezzo di pane. L’intero mondo stava conoscendo una fase di contrasti e intrighi, ma allo stesso tempo si stavano schiudendo anni di rinascita in una terra da sempre al centro di interessi umani vigorosi e sanguigni. Siamo nella Sicilia del XIII secolo, esattamente nell’anno del signore 1220. Il luogo di cui si sta scrivendo è il monte Guastanella – situato nel territorio comunale di Santa Elisabetta – e i fatti che si stanno per narrare sono connessi, essendo in parte lì avvenuti, col castello che su Guastanella si ergeva. Qui, in una fortificazione che oggi ormai esiste solo nelle sue solide fondamenta, è stato tenuto prigioniero Ursone, vescovo di Agrigento.
L’anno 1130 rappresenta per la Sicilia la data dell’inizio ufficiale della dominazione normanna (instaurata da re Ruggero II) e nel contempo segna la fine del dominio arabo che qui durava dal IX secolo. Trecento anni che hanno rappresentato per l’isola del sole una fondamentale occasione di reale sviluppo, poiché gli arabi posero le basi per i grandi commerci che resero l’isola un’immensa area di scambio.
Re Ruggero II costituì il Regnum Siciliae ma nel giro di pochi anni la Sicilia normanna degenerò nell’anarchia più totale. Ed è in un tale contesto storico che si inserisce la vicenda accennata all’inizio. Il vescovo Ursone durante la sua esperienza ecclesiastica a capo della chiesa agrigentina e prima del suo rapimento fu oggetto di duri attacchi politici. Fu a causa di questa instabilità della chiesa locale che la stessa fu privata dei suoi benefici e dei suoi possedimenti. La situazione che si venne a creare fu talmente drammatica che per un periodo non ci furono più battesimi da parte dei cristiani e gli abitanti dei territori agrigentini non si recarono più nemmeno nei campi per coltivarli e lavorarli. Il vescovo Ursone, subito dopo essere stato rapito, fu tenuto prigioniero nel castello che allora si ergeva sulla sommità del monte Guastanella: una fortezza già esistente in epoca bizantina ma la cui origine potrebbe addirittura risalire all’epoca sicana. La prigionia dell’alto prelato cristiano si protrasse per quattordici lunghi mesi, terminando solo con il pagamento di una somma di cinquemila tarì d’oro versata a titolo di riscatto.
Fu così che si pose fine a un episodio della storia siciliana di particolare complessità, denso di conseguenze storiche e sociali ma anche monito sulla pericolosità della degenerazione che il potere politico-militare può in ogni momento subire. Cronaca di un’epoca remota e di echi di un passato che, a osservarlo meglio oggi, non sembra poi così tanto diverso dal nostro presente.
Antonio Fragapane
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1 commento
Ma quanto ci è costato il Duomo di Cefalù?