Il mito che si intreccia in un tutt’uno con la storia, con luoghi di un tempo lontano e con uomini di un’epoca che si perde nelle nebbie del passato. La mitologia greca narra di Icaro e dell’ingegnoso padre Dedalo, autore della complessa e proverbiale costruzione labirintica di Cnosso, nella quale fu tenuta prigioniera una creatura conosciuta come il Minotauro, metà uomo e metà toro, frutto dell’unione carnale, favorita dall’aiuto dello stesso Dedalo, tra la regina di Creta Parsifae, moglie del re Minosse, con un toro. Dedalo, imprigionato insieme al figlio Icaro, per scampare alla vendetta di Minosse, fuggì (volò) col figlio, lontano dai luoghi dell’isola di Creta, ormai per loro divenuti troppo pericolosi. Il peregrinare fu infausto ai due, poiché Icaro avvicinatosi troppo al sole causò lo scioglimento della cera delle sue ali e, precipitando in mare, morì durante il viaggio. Dedalo invece fu costretto a correggere la sua rotta aerea, mantenendosi radente al ciglio dell’acqua ed “atterrando” in Sicilia, nei pressi della città sicana di “Inycon”. Lì venne accolto con tutti gli onori da Cocalo, sovrano del locale popolo dei sicani, tanto da sentirsi in obbligo di ripagare le tante cure ed attenzioni ricevute concependo e realizzando la costruzione di leggendarie opere, tra le quali la mitica, ed oggi scomparsa, roccaforte di Camico (1250 a. C. circa): talmente inespugnabile che il sovrano sicano, subito dopo la sua edificazione, lì trasferì la sua imponente reggia, la sua fastosa corte e le sue incredibili ricchezze, delle quali da sempre si è tanto favoleggiato.
Nel corso dei secoli sono stati tanti ed autorevoli gli storici e gli autori che si sono occupati di Camico, citandola nelle loro opere: Diodoro Siculo, Antioco da Siracusa, Timeo, Duride di Samo, Erodoto, Pausania, Pindaro e persino i sommi Platone ed Aristotele.
Quello appena riportato è parte del mito legato a Camico, narrazione che sembra abbia trovato un riscontro reale e concreto in terra di Sicilia, e più esattamente in molte località della provincia di Agrigento. Sono tanti, infatti, gli scavi archeologici che hanno portato alla luce innumerevoli reperti di origine sicana in altrettanti siti e località, che, un po’ campanilisticamente, hanno iniziato a vantare i natali di Camico. Il punto, infatti, risulta essere proprio questo, ovvero la presenza di innumerevoli paesi dell’agrigentino nei quali molti dei tratti e delle caratteristiche dell’antica Camico esistono, o potrebbero essere esistiti: tale, dunque, è il fascino che suscita il mistero di un’antichissima e ricchissima città-fortezza mai ritrovata, e tale è il prestigio che su ogni luogo deriverebbe qualora venisse scoperta o individuata. Ma una più accurata ed analitica trattazione dell’argomento sicuramente potrà chiarire meglio il caos di ipotesi e suggestioni generatosi.
Una prima, ma debolissima, tesi considera essere il luogo dell’antica Camico l’attuale paese di Cammarata (un tempo chiamata Camerata), sulla base di una non chiara “affinità toponomastica” (Camico-Camerata derivante da “Camicus erat”) e di alcuni ritrovamenti archeologici che hanno individuato nelle vicinanze un sito di probabile origine sicana.
Segue l’altrettanta debole ipotesi che l’antica Camico possa essere stata Siculiana. Tale teoria è stata sostanzialmente impostata sulla presenza in tale zona di un piccolo corso d’acqua conosciuto come fiume Canne, nome che pare avere una certa connessione etimologica col termine Camico, e che creerebbe, dunque, un’altra dubbia “affinità toponomastica”: Canne-Camico.
Altra località a contendersi l’ubicazione di Camico, ma con argomentazioni ben più consistenti, è il paese di Caltabellotta (famoso per un trattato di pace che qui si firmò nel 1302, e che pose fine alla prima fase della storica Guerra del Vespro), nel quale, già circa centocinquant’anni fa, l’archeologo tedesco Schumbring, effettuando degli scavi, rinvenne molti reperti, tra i quali oggetti e vasellame, ed altresì un’intera necropoli di plausibile origine sicana. Probabilmente, secondo quanto indicato dai fautori di tale tesi, in questo luogo il sito dell’antica Camico potrebbe essere individuato in cima alla collina ruprestre di Gulèa, caratterizzata dall’essere inarrivabile su tre lati ed accessibile solo da quello ad est, in un’area denominata Gogàla, molto ricca di incisioni realizzate nella roccia, ed in tale luogo le fonti che fornirono l’acqua calda nella quale morì Minosse, sarebbero da individuare nelle “stufe vaporose” del monte Kronio, presso la vicina Sciacca (la romana “Ex Aqua”).
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Antonio Fragapane
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