Diego Acquisto
Un volume che si annuncia interessante questo sul Vescovo Iacolino, illustre figlio di Favara, che sarà presentato ufficialmente il 14 Novembre p.v. alle ore 17,00 nell’Aula Magna del palazzo vescovile di Trapani dal prof. Antonio Bellingreri, ordinario di Storia della Pedagogia nell’Università di Palermo. Un volume dal titolo “Filippo Iacolino, cittadino di Favara ed VIII° vescovo di Trapani”, con la prefazione di S. E. Mons. Pietro Maria Fragnelli, attuale vescovo di Trapani.
L’autore è Michele Antonio Crociata, in atto parroco a Castellamare del Golfo (TP), dove è nato nel 1944 e che per 40 anni è stato Ordinario di Storia nei Licei e negli Istituti Tecnici e Magistrali, non nuovo a fatiche storiche di questo genere.
Ha pubblicato infatti “Sicilia nella Storia”, un’opera in tre volumi, in cui con un taglio decisamente innovatore rispetto alla storiografia prevalente, da lui giudicata “oleografica e infarcita di molte menzogne e di innumerevoli omissioni”, illustra gli eventi che vanno dall’inizio della dominazione araba dell’827 sino a alla seconda guerra mondiale ed alla fine della lotta separatista nel 1950.
Clamorosa la verità di Crociata sulla fine del bandito Giuliano, che non sarebbe morto a Castelvetrano e non sarebbe stato ucciso da Gaspare Pisciotta.
Alla luce di questo pare perciò più che legittima l’attesa per la nuova fatica storica di questo studioso “non allineato”….. Michele Antonio Crociata che ha voluto concentrare la sua attenzione su un cittadino favarese. Che , seppur per appena trenta mesi, in un ambiente difficile e in un periodo storicamente travagliato, ha speso generosamente le sue energie, come vescovo di Trapani, dal 18 gennaio 1948, giorno del suo ingresso, al 21 luglio 1950, quando si è prematuramente spento in una clinica di Palermo, dove si trovava in cura da qualche settimana.
Una vita preziosa, ricca di virtù e di opere al servizio di Dio e del prossimo, quella di Filippo Iacolino, nato a Favara il 6 giugno 1895. Uomo di profonda spiritualità, straordinariamente preciso nelle cose più ordinarie e di routine, sulla scia della “piccola via” tracciata dalla mistica di Lisieux, Santa Teresina del Bambino Gesù; una Santa questa che ha pure segnato in profondità l’esemplare figura del suo grande amico e compaesano , il chierico Calogero Santamaria, morto in guerra nel settembre del 1917, le cui spoglie mortali riposano nella Chiesa Madre di Favara.
Entrato nel Seminario di Agrigento nel 1908, il giovane seminarista Filippo deve interrompere gli studi per partecipare alla prima guerra mondiale e subire anche un periodo di prigionia ad opera dei tedeschi nel campo di Mannheim, sino al 1918, anno in cui fece ritorno a Favara e quindi rientrò in Seminario, per essere ordinato presbitero dal vescovo Lagumina nel luglio 1923.
Da sacerdote cominciò il suo apostolato come Rettore della Chiesa di S. Vito in Favara e contemporaneamente anche assistente spirituale nell’Oratorio festivo “Mons. Giudice”, in mezzo ad una schiera di giovani che seppe educare cristianamente alla virtù, all’apostolato e all’impegno nel sociale, iniziando con Gaetanino Miccichè la Conferenza S. Vincenzo per l’assistenza delle famiglie bisognose. Per questo suo zelo educativo nel periodo favarese, assieme a Salvatore Pirelli, don Filippo Iacolino fu oggetto di persecuzione fascista, perché aveva dato vita ad un rigoglioso movimento giovanile di Azione Cattolica.
Dal 1930 al 1947 dal Vescovo Peruzzo viene chiamato a prestare servizio ad Agrigento in Seminario, prima come insegnante, poi come direttore spirituale, quindi, con una particolare autorizzazione pontificia, (per il passaggio inusuale dal “foro interno” a quello “esterno”) come Rettore, sino all’agosto 1947, quando Papa Pio XII, lo nominò Vescovo di Trapani.
Una luminosa figura di uomo, di sacerdote e di apostolo, quella di Mons. Iacolino, sempre animato da grande spirito di sacrificio e di abnegazione. Pare che per il suo rigore fosse spesso chiamato “Rettore di ferro”, inflessibile nell’osservanza del regolamento, che però era il primo lui ad osservare, sempre puntuale e presente in tutti i momenti della giornata da perfetto seminarista. Con il suo esempio di vita , nei diversi settori del suo ministero, spingeva tutti al compimento del dovere. Perciò alla sua scuola si formarono schiere di laici, che chiamati a servire la Chiesa e la società in rilevanti posti di responsabilità , hanno speso le loro energie con retta intenzione, offrendo generosamente il loro contributo alla crescita della coerenza morale nella vita pubblica e privata. Come Rettore, con il suo stile di vita si è rivelato un efficace formatore di numerosi zelanti sacerdoti, e tutti quanti ancora in vita ancora lo ricordano con grande stima e venerazione.
Anche da vescovo, seppur nel breve periodo, il suo fu un apostolato eroico: numerose le lettere pastorali e le parrocchie da lui costituite. Nell’opera di ricostruzione post-bellica a Trapani , oltre che alle chiese, prima pensò a ricostruire il Seminario e, solo dopo, il Palazzo Vescovile, entrambi distrutti dalla guerra. Nella lapide della sua tomba, all’interno della Cattedrale di Trapani, in un latino forbito, vengono sinteticamente ricordate le sue opere e virtù, di cui diede ampiamente prova. Si legge infatti, tra l’altro: “MITIS ET HUMILIS CORDE, XXX MENSES HANC ECCLESIAM SOLLERTIA ADMINISTRAVIT PRUDENTIAE PARI…… RESTITUTO SACRICOLARUM EPHEBEO….AUCTIS PROVISIS PAROECIIS ECCLESIIIS”. Insomma Seminario e Chiese parrocchiali in primo luogo, risvegliando contestualmente la coscienza dei laici nel sociale. Per questo diede impulso alle ACLI trapanesi e pur ammalato continuò sino alla fine la sua instancabile attività apostolica.