Sciopero dei netturbini: ci risiamo. Una puntualità quasi svizzera, quella stessa puntualità che i vertici dell’Ato Gesa Ag2 e buona parte dei sindaci dei 19 comuni consorziati hanno nell’innescare l’emergenza. Promesse, impegni, rassicurazioni, dichiarazioni distensive: quelli sì puntuali. Poi però strada facendo si accumulano i ritardi, tanto che i soldi non arrivano a destinazione. Non fanno capolinea. I soldi no, ma i rifiuti sì, ai bordi delle strade. Si preannuncia così una nuova emergenza.
Per il 2 febbraio è stato proclamato un giorno di sciopero da parte delle organizzazioni sindacali di categoria. Un raduno degli operatori ecologici, quasi certamente, davanti al palazzo della prefettura per tornare a rivendicare le mensilità arretrate. Questa volta all’appello mancano quelle di ottobre, novembre, dicembre e la tredicesima. Un’altra, l’ennesima iniziativa di protesta allora per gridare la loro rabbia e per provare a richiamare l’attenzione sul loro stato di disagio economico. Ma al danno si aggiunge la beffa. Per invocare un sacrosanto diritto sono costretti a lasciare sul terreno la paga di un giorno. Succede anche questo.
Il sistema rifiuti è andato ormai in corto circuito: le imprese, da cui dipendono i lavoratori, non sono più in grado, sfidcuaite anche dalle banche, di andare avanti senza incassare le fatture maturate dall’Ato Gesa, che, a sua volta, è a secco o quasi di liquidità per la sofferenza dei bilanci dei Comuni, per qualche pignoramento e per i rubinetti chiusi o semichiusi da parte della Regione. Ma un dubbio resta: che fine fanno le entrate dei tartassati contribuenti? O da sole non sono sufficienti a fronteggiare l’ormai ciclica emergenza?
Fatto sta che chi la tassa la paga, e anche profumatamente pur parlando di rifiuti, si ritrova con periodicità imbarazzante i cassonetti sotto casa stracolmi e le strade invase di sacchetti.