La Sicilia non doveva entrare in Europa, dovevano lasciarci fuori, ché siamo più vicini all’Africa.
Abbiamo voluto il clientelismo, lo abbiamo alimentato, ci siamo cresciuti e pasciuti dentro. Abbiamo votato per avere favori e i politici, dal canto loro, ci hanno dato favori. Loro, i nostri eroi, hanno infilato dentro il Comune 350 precari senza preoccuparsi di nulla. Non li ha interessati il futuro dei lavoratori e i costi per la collettività. Si sono dati da fare per formare le cooperative, i progetti e i contratti di lavoro.
Li ha fermati l’Europa, viceversa 30mila favaresi lavorerebbero in Comune e forse anche di più, avrebbero richiamato chi è emigrato all’estero per assegnarli un posto in Municipio, se, dicevo, l’Europa non li avesse fermati.
Adesso l’Europa ci chiede di più, mentre da oltre venti anni nella nostrana giungla si promette di stabilizzarli. Ci chiede di ridurne il numero stabilendo che non possono superare in numero il 20 per cento del totale dei dipendenti di ruolo.
Oltre lo Stretto di Messina in pochi comprendono il fenomeno del precariato, figuriamoci Renzi che è molto più lontano. E’ un problema siciliano, della nostra Africa. E non possiamo prendere l’altrui comprensione, ché precario è, nel significato della stessa parola, chi ha un rapporto di lavoro provvisorio. Come fanno i nostri connazionali oltre Stretto e addirittura gli europei a comprendere un lavoro precario che dura da ventiquattro anni.
Intanto, stiamo parlando di uomini e donne e delle loro famiglie. Stiamo parlando del loro destino. Il sistema era sbagliato e oggi non si può correggere con la formula del 20 per cento. Il colpo di spugna dovrebbe essere dato a chi ha approfittato del sistema, bisognerebbe colpire “gli scafisti” del precariato e non chi da questi è stato messo dentro ai “barconi” affollati, ché cercavano lavoro e gli altri se ne sono approfittati.
Bisognerebbe fare una nuova legge per punire gli “scafisti” del precariato siciliano. Hanno devastato il futuro di questi lavoratori e, nello stesso tempo, lo hanno negato ai giovani disoccupati. Bisognerebbe chiuderli in carcere e buttare le chiavi in mare.
Bisogna, comunque, fare qualcosa. Non è possibile e non è accettabile perdere il posto di lavoro, quando facendo affidamento a quel modesto reddito si sono formate le famiglie e non si è più giovani abbastanza per essere riciclati nel mercato del lavoro.