Nel giorno di San Francesco, ricordo la sacrestia affollata, dopo la celebrazione della messa, per fare gli auguri a patri Francì. Non gli davano neppure il tempo di togliersi i paramenti liturgici, volevano abbracciarlo, circondarlo di affetto. Sacerdote e uomo vicino alla gente.
“Dio benedica chi non mi fa perdere tempo” era scritto su una ceramica posta su una parete della sua cella, così si chiamavano e forse ancora così si chiamano le camerette dei frati francescani.
Io, bambino, quella frase, meglio, quell’invito a non fargli perdere tempo, proprio non lo capivo. A quell’età non si ha consapevolezza del tempo e del suo trascorrere.
Crescendo e ripensando a “quell’invito”, mi sono reso conto della preziosità del dono del tempo che quel sant’uomo doveva dividere alla numerosa gente che bussava alla sua porta.
Erano gli anni ’50 e ’60, il periodo della ricostruzione nel Nord dopo la guerra, da noi anni di miseria, di stenti e di emigrazione. In quasi tutte le famiglie mancava il marito e il padre che era emigrato a Torino, Milano, in Belgio, in Germania, in Francia. L’Italia con il Belgio avevano firmato un protocollo che prevedeva da parte italiana l’invio di manodopera, in cambio di fornitura di carbone. I meridionali erano la contropartita e tra questi centinaia di favaresi.
Favara sembrava un paese di vedove e di orfani. Le famiglie si ricomponevano una volta all’anno, di solito per Natale. Non c’era il telefono, se non il posto pubblico gestito dal Caffè Italia di Butticé. Ad un terminato appuntamento figli e moglie andavano da Butticé e aspettavano la telefonata dall’estero. L’appuntamento di solito si dava nelle lettere inviate dai mariti che, ricordo, iniziavano stranamente tutte allo stesso modo “Carissima moglie e carissimi figli, io sto bene come spero tutti voi…” In realtà non stavano bene i mittenti e tantomeno i destinatari.
Nella Favara del tempo, padre Francesco Schifano, meglio, patri Francì era il punto di riferimento per qualsiasi tipo di problema, da quello del pane, quando il fornaio si rifiutava di concedere ulteriore credito, alle scarpe ormai troppo consumate e impossibile da riparare.
Al maresciallo dei carabinieri chiedeva di chiudere un occhio e a volte due su fatti spesso consumati per ignoranza più che per disprezzo della legge.
Fondò un collegio per accogliere i poveri e gli orfani. Un vecchio autobus girava la mattina per Favara, raccoglieva i bambini e li portava nella scuola elementare all’interno del Convento, la Casa del Fanciullo.
Centinaia di bambini avevano assicurati l’istruzione, il cibo e, alcuni di loro che la sera non tornavano a casa, un letto per dormire. Questo il ricordo di Gaetano Palamenga che insegnò nella Casa del Fanciullo “L’idea di aiutare i bambini poveri ed orfani di Favara fu recepita da un gruppo di giovani maestri, di cui io facevo parte. Eravamo cinque neo diplomati, pieni di entusiasmo e voglia di fare, e trovammo in Padre Francesco Schifano il nostro leader, punto di riferimento morale, professionale ed umano. Noi lo abbiamo aiutato, come lui diceva, a portare nel convento l’unica parte di mondo che mancava, cioè i bambini e ben presto il refettorio del convento risuonò di voci gioiose ed allegre. Padre Francesco ci infuse fiducia e coraggio e noi osammo l’impossibile: infatti, ben presto la Casa del Fanciullo si popolò di dieci classi della scuola elementare. Fu un successo per il convento, ma soprattutto per Favara, che ha visto realizzata un’opera meritoria non solo dal punto di vista caritativo, ma anche culturale”.
Lo chiamavano per dire messa, forse è opportuno dire che ci “tenevano” più che chiamavano. “A Missa a dici patrì Francì”. E patrì Francì li accontentava. Per i matrimoni, in particolare, “a missa di patrì Francì” era il massimo regalo per le famiglie della sposa e dello sposo.
Padre Guardiano del Convento, è stato parroco di Santi Pietro e Paolo, del Carmine e del Transito, confessore delle suore di clausura di Palma di Montechiaro e di Santo Spirito e delle suore del Sacro Cuore di Agrigento, esorcista, nominato dal Vescovo di Agrigento e dal Santo Padre.
La mattina del 17 Dicembre 1989, alla notizia della sua morte fu un accorrere così enorme di popolo che la chiesa e la piazza a stento riuscirono a contenere. Ancora oggi in molti lo ricordano e vanno a rendere omaggio alla sua tomba.
Anche io ho voluto ricordarlo in questo giorno.