“Ci mettinu i niuri?” è diventato l’attuale tormentone.
A Favara ormai si intravedono aperture di centri di accoglienza in ogni angolo della città.
Al momento, gira insistente la voce che i locali dei Padri Vocazionisti, lasciati liberi dagli uffici comunali, ospiteranno centinaia di migranti. E sul nulla si prepara la rivolta popolare.
Intanto, sul nulla c’è il rischio che una popolazione accogliente si trasformi in razzista. Ed è un rischio che sarebbe opportuno evitare scrivendo regole certe sulla stessa accoglienza. Lo ha già fatto la vicina Agrigento che ha vietato l’apertura di nuovi centri in punti sensibili come scuole e centro storico.
Del resto la presenza di migranti è nel nostro territorio in continuo aumento e non si tratta di nuclei familiari, ma di centinaia di giovani senza un’occupazione costretti, loro malgrado, a trascorrere le giornate nella totale noia. E la noia è una brutta consigliera.
La stragrande maggioranza è in attesa della dichiarazione dello status di profugo per potere raggiungere altre città e altri Stati. La loro meta non è mai stata Favara o Agrigento e non sono interessati a restarci.
Nell’agrigentino si è inserita solo la prima ondata di migranti provenienti prevalentemente dal Marocco, Tunisia e Senegal. Gente pacifica ormai alla seconda generazione che cerca, tra mille difficoltà, di inserirsi nel nostro tessuto sociale. Dico subito, molti di loro sono amici miei, cosa questa nota ai più. Le prime cerimonie funebri con il doppio rito cristiano e musulmano si sono celebrate, senza temere di essere smentiti, a Favara e con la significativa collaborazione dei miei amici migranti.
Oggi il fenomeno dell’accoglienza ha diverse caratteristiche e, a mio parere, dovrebbe essere regolamentato nell’interesse di chi ospita e dell’ospitato.