Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse:
«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Parola del Signore
Il verbo conoscere è frequente in Giovanni. È un conoscere non intellettuale, ma dichiara un’appartenenza, un’intimità, una scelta di vita. È il conoscere, o il “sapere” della fede, alla cui origine sta l’attrazione di Gesù, così convincente da generare fiducia, da meritare affidamento. Lo sanno “le pecore”, cioè i discepoli, che riconoscono in lui la porta che conduce alla salvezza, la pienezza di vita, contrapposta alla morte, o alla strage, che i ladri e i banditi, cioè coloro che non credono in lui, si propongono di compiere. Ma le “pecore conoscono la voce del pastore”. Come a dire che quanti hanno ricevuto il dono della fede sanno di non essere abbandonati a se stessi, di poter vivere con lui, di poter sperimentare il suo amore assoluto, teneramente provvido. È un dono, questo della fede, non da intendere come un privilegio o una garanzia, ma piuttosto come assunzione di una responsabilità che comporta una sequela, un non lasciarsi distrarre da altre voci, che danno credito al disordine del cuore e della mente e si oppongono al cammino della fede, lo mettono in questione. Il dono della fede illumina e sostiene la sequela di Gesù così che l’esistenza divenga come la sua, assuma il suo senso autentico, che è di poter vivere con lui e come lui. Seguire significa, infatti, percorrere le orme del Maestro, condividere le sue scelte, con una volontà di comunione cosi forte che il cammino conduca verso l’unica Meta. Non si tratta, lo si vede bene, di imparare una dottrina, pur necessaria, ma di stabilire un rapporto con Gesù, di vivere una relazione con lui, con la reciprocità di un’appartenenza, che allontana la paura e il pericolo di qualsiasi smarrimento. Ma è importante che la voce del Pastore resti nitida nel cuore, percepita nel silenzio, che si fa ascolto e obbedienza. Allora, man mano che si cammina, anche se l’esperienza della fede si fa dura, difficile e può conoscere le spinte infide della prova e della tentazione, si può avere fiducia, perché il Pastore ci conosce intimamente, ci conosce “per nome”. Basta questa certezza perché il cuore si sottometta interamente a lui, e risponda positivamente alla sua “attrazione”. ( laparola.it)
Pace e Bene
Fra Giuseppe Maggiore