Tra i migliori mandolinisti della sua generazione, Emanuele Buzi è nato a Roma nel 1978.
Nipote del virtuoso M° Giuseppe Anedda, ha iniziato lo studio del mandolino con il nonno, che lo ha poi affidato artisticamente al M° Dorina Frati con la quale si è perfezionato fino a diventarne assistente. Si diploma con il massimo dei voti e la lode presso il Conservatorio di Musica “A.Casella” de L’Aquila.
Collabora stabilmente con importanti enti lirici quali La Scala di Milano, il Teatro La Fenice di Venezia, la Fondazione Arturo Toscanini di Parma, il Teatro Massimo di Palermo ed è stato diretto dai maestri Riccardo Muti, Mstislav Rostropovich, Donato Renzetti, Georges Prêtre, Wayne Marshall, Myung Whun-Chung.
All’estero si è esibito in Turchia, Albania, Germania, Francia, Spagna, Portogallo e Giappone con ben 6 tournée.
Ha partecipato a trasmissioni televisive e radiofoniche della RAI (RAIUNO, RAIDUE, RADIORAI).
Con il Quintetto a Plettro Giuseppe Anedda da lui fondato si è esibito presso la Cappella Paolina del Quirinale a Roma. Il concerto è stato trasmesso in diretta radiofonica su Radio 3.
Dal 2008 è docente di Mandolino presso il Conservatorio di Musica “V. Bellini” di Palermo.
Among the best mandolin players of his generation, Emanuele Buzi was born in Rome in 1978.
He began to study mandolin with his grandfather, the virtuoso Giuseppe Anedda, and with international soloist Dorina Frati. He graduated with highest honors from the Conservatory of Music “A. Casella” in L’Aquila.
Collaborates with greatest opera houses such as La Scala in Milan, the Teatro La Fenice in Venice, the Arturo Toscanini Foundation of Parma, the Teatro Massimo of Palermo and was directed by Riccardo Muti, Mstislav Rostropovich, Donato Renzetti, Georges Pretre, Wayne Marshall, Myung-Whun Chung.
He has performed in Turkey, Austria, Albania, Germany, France, Spain, Portugal and Japan with 6 tour.
He has appeared on television and radio broadcasts of the RAI (RAIUNO, RAI, RADIORAI).
With his plucked quintet, Quintetto a Plettro “Giuseppe Anedda”, has performed at the Cappella Paolina of the Quirinale, the Presidential Palace in Rome which was broadcast live on Radio Rai 3.
Since 2008 he is mandolin professor at the Conservatory of Music “V. Bellini” of Palermo.
Quando nasce tua passione per la Musica e l’incontro con il primo mandolino?
Ho avuto la fortuna di nascere in un ambiente più che stimolante. Mio nonno, Giuseppe Anedda, unanimemente riconosciuto come il caposcuola del Mandolinismo moderno e mia nonna, Benita Fanciulli, una delle prime cantanti scritturate dall’Eiar, hanno permesso che i miei fratelli (Valdimiro e Costantino) ed io crescessimo a stretto contatto con la musica.
Gli strumenti musicali erano i miei giocattoli e in particolare il Mandolino era uno tra i più amati. Avevo sei anni, e mio fratello Valdimiro dieci, quando nonno cominciò ad insegnarci i primi duetti.
Mia nonna aveva iniziato qualche anno prima a darci i primi rudimenti di solfeggio e pianoforte.
Come eri da bambino? Quando hai scoperto le tue qualità musicali?
Ero un bambino normale, curioso e felice.
Vivevo una sana competizione con i miei fratelli e nostro nonno era spesso l’oggetto di questa rivalità.
Ho iniziato lo studio del Pianoforte all’età di cinque anni, con un’insegnante privata, ma non ne sono mai stato innamorato e qualche anno dopo decisi di smettere.
Durante gli anni del liceo cominciai a suonare il basso elettrico. Amavo ed amo tutt’ora la musica rock, ma ho studiato anche la musica jazz, nella famosa Scuola di Musica Popolare di Testaccio a Roma.
L’amore per il Mandolino mi ha sempre accompagnato. In particolare mi emozionava moltissimo ascoltare l’orchestra “Claudio e Mauro Terroni” di Brescia, diretta da Dorina Frati, che anni dopo sarebbe diventata la mia insegnante.
Una formazione meravigliosa, composta da giovanissimi mandolinisti che suonavano con entusiasmo e passione.
Si esibivano spesso a Roma, insieme a mio nonno, ma ho avuto modo di ascoltarli anche a Brescia molte volte.
Non ricordo quando ho scoperto di avere particolari qualità musicali, ma rammento con molta chiarezza quando decisi che avrei fatto della musica la mia professione.
Mi ha aiutato certamente la mia formazione eterogenea e una mentalità aperta e autocritica. In più ho sempre affrontato le mie sfide con grande umiltà. Questa è forse la qualità più importante se ci si vuole migliorare.
Suonare il mandolino è impegnativo? Mentre suoni cosa pensi?
Lo studio del Mandolino, come di tutti gli strumenti, è impegnativo, difficile e ostico solo se lo si affronta senza passione, come un impegno o un dovere.
Quando studio la mia mente è assorbita dalla musica, dalla partitura e da tutti gli aspetti tecnici che ne derivano.
Mi capita spesso di pensare a mio nonno, a come avrebbe affrontato un determinato passaggio. Quando morì avevo 19 anni, sufficienti per aver imparato molto da lui, ma non abbastanza per approfondire gli aspetti interpretativi più “intimi”. Per questo è stata determinante Dorina, una musicista eccezionale.
Quando suono invece penso al pubblico, con il quale cerco sempre di instaurare un “legame”, un dialogo emozionale. Provo a dissipare la coltre di razionalità che ci avvolge quotidianamente, andando un pochino più in profondità.
Nella storia principi, principesse e regine suonano il mandolino, come si spiega questa attrazione per questo strumento secondo te?
Nel Settecento il Mandolino vive il suo periodo d’oro. Tra tutte le tipologie, quello Napoletano si distingue in particolare per la brillantezza del suono “argentino” e squillante, dovuto all’utilizzo di corde in metallo. I liutai napoletani erano apprezzati in tutta Europa per le innovazioni organologiche ed estetiche. Intarsi in tartaruga, madreperla, argento, legni e materiali pregiati lo rendevano particolarmente indicato in ambito aristocratico. Anche la posizione elegante, durante l’esecuzione, con la gamba destra accavallata sulla sinistra, ne faceva uno strumento adatto alle nobildonne.
Maestri di mandolino italiani trovavano facilmente impiego nelle corti e nei salotti europei.
Purtroppo sono pochissime le tracce pervenuteci di esecutrici, didatte e compositrici per mandolino. Un patrimonio inestimabile che la storia ci ha negato.
Quante cattedre di mandolino ci sono in Italia e in quali Conservatori?
La prima Cattedra italiana fu aperta nel 1975, al Conservatorio Pollini di Padova, affidata a mio nonno che ne fu titolare per cinque anni. A questa si aggiunsero negli anni, L’Aquila, Napoli, Bari, Palermo, Milano, Brescia. Ci sono anche cattedre sperimentali a Salerno, Benevento e Frosinone.
Quanto hanno influito i tuoi genitori nelle tue scelte musicali?
Mi hanno sempre lasciato libero di fare le mie scelte, permettendomi di rischiare, addirittura di sbagliare clamorosamente, ma di poter dire di essere l’unico responsabile del mio percorso.
Qual è la tua definizione della Musica colta?
Distinguerei piuttosto tra Musica colta e musica leggera.
La prima è una forma d’arte che si è evoluta attraverso i secoli ma che mantiene intatta la sua forza comunicativa. Così come un Caravaggio resta un capolavoro anche tra mille anni, così lo saranno le sinfonie di Beethoven o di Brahms.
La musica leggera è intrattenimento, a volte molto piacevole, a volte terribile, ma resta circoscritta in un tempo definito.
Una volta passata la moda di consumo si perde nell’oblio.
Basta solo saper aspettare…
Tu sei sempre allegro e sorridente quando suoni, e quando non suoni come sei, fuori dalle luci del palcoscenico?
Fare il musicista è impegnativo, ti pone di fronte a difficoltà e a delusioni, ma suonare di fronte ad un pubblico, ad alti livelli, è una fantastica realizzazione della propria identità, e ti appaga di tanti sacrifici. Fuori dal palco cerco di mantenere ed alimentare la sensibilità necessaria a far sì che i due momenti, dentro e fuori dalla scena, siano il più vicini possibili. Non è sempre facile, talvolta emergono stress e nervosismo.
Puoi raccontare qualche curiosità nella tua esperienza di Maestro al Conservatorio Vincenzo Bellini di Palermo?
Un curioso aneddoto mi lega a Palermo. Prima di ottenere la cattedra, nel 2008, non ero mai stato in questa città. Avevo suonato moltissimo in Sicilia, ma senza visitare il capoluogo di questa meravigliosa regione. Mio nonno proprio qui a Palermo, nel febbraio del ’39, vinse, con il suo quartetto a plettro, il concorso nazionale dell’ O.N.D (ordine nazionale del Dopolavoro). Da questa eclatante vittoria, grazie al suo talento ed al suo virtuosismo, prese il via la sua fortunata carriera concertistica.
Molti anni dopo, negli anni ’80, in occasione di alcuni concerti in Sicilia, fu invitato ad esibirsi proprio nel Conservatorio che oggi mi ospita.
Quando arrivai, il primo collega a darmi il benvenuto nel Conservatorio, è stato, casualmente, il Maestro Salvo Pirrello, che si esibì con lui in quella tournée.
In qualche modo ho interpretato questi segni come un’eredità da raccogliere e tramandare.
Com’è il rapporto con i tuoi allievi e con i musicisti che suonano il mandolino nel tuo gruppo?
Non mi considero un docente particolarmente severo. Ho con i miei ragazzi un rapporto profondo e aperto. Forse è dato dalla mia giovane età e dal fatto che fino a pochi anni prima ero uno studente io stesso. Questo mi avvicina alle loro esigenze, agli eventuali dubbi e insicurezze e mi permette di immedesimarmi meglio nel loro percorso. Importante è comprendere e far capire quanto il loro investimento in questo lavoro li carichi anche di una grande responsabilità.
Quali sono i musicisti classici di riferimento e che stai approfondendo?
Ho sempre amato la musica barocca in quanto è il periodo in cui il Mandolino ha espresso maggiormente le sue potenzialità. Bach e Vivaldi sono i miei compositori prediletti. Amo molto i maestri della musica sinfonica della prima metà del ‘900 ed in particolare Ravel, Mahler, Prokofiev e Rachmaninoff.
Hai composto della Musiche per il Cinema?
Non mi sono mai cimentato nella composizione e non ritengo sia un “linguaggio” a me congeniale.
Mi è capitato molto spesso però, come esecutore, di prendere parte ad incisioni e sincronizzazioni di importanti compositori come Ennio Morricone, Nicola Piovani, Gabriel Yared, Carlo Crivelli e molti altri.
Cosa stai preparando in questo momento?
In questo momento sono in tournée con il Quintetto a Plettro “Giuseppe Anedda” la formazione che ho fondato insieme a mio fratello Valdimiro, a Norberto Gonçalves da Cruz, Andrea Pace e Emiliano Piccolini, con cui suono da circa quindici anni.
Cosa cambieresti nei Conservatori se tu fossi il Direttore?
Essere Direttore di un Conservatorio è un compito difficilissimo. Bisogna avere grande sensibilità artistica ma anche una mentalità imprenditoriale, capacità politiche, un carisma fuori da comune.
Ogni Conservatorio è una realtà a sé, quindi posso parlare solo degli istituti in cui insegno (Palermo e Frosinone).
Devo dire che negli ultimi anni, il Conservatorio di Palermo, ha vissuto una fase di rinnovamento e ammodernamento dovuto all’illuminata lungimiranza di Daniele Ficola. Ora il testimone passa a Gregorio Bertolino che, sono certo, saprà dimostrarsi all’altezza di questa eredità.
Probabilmente cercherei di puntare maggiormente sui giovani, promuovendo lo studio della musica nell’infanzia.
Purtroppo la politica nazionale, da molti anni ormai penalizza regolatamente il nostro settore rendendo il percorso accademico ostico, in netto contrasto con ciò che accade in molti altri paesi, con una storia musicale di gran lunga inferiore alla nostra, nei quali si investe e si incentiva lo studio della cultura e delle arti.
Che cos’è la bellezza nella musica ?
La bellezza è dappertutto, basta solo saperla cogliere, in un quadro, in una foto, in un film, in un’espressione del viso. Si trasforma una figura in immagine e la si “sente”, la si percepisce.
Nella musica è lo stesso, anzi forse è ancor più facile visto che non si vede, si parte già da un piano meno razionale.
Bisogna saper andare oltre il suono, oltre ciò che l’orecchio sente, ampliando la propria sensibilità.
La musica non si sente meccanicamente come qualsiasi altro rumore, ma si sente con tutto l’organismo.
La bellezza si sente con la pelle.
La Musica e i bambini, che cosa non è stato fatto nella scuola italiana?
A mio avviso è venuto meno l’aspetto ludico e aggregativo della musica.
Suonare insieme, fin da piccoli, permette di superare le differenze sociali, etniche, economiche e culturali.
All’interno di un’orchestra ognuno ha il suo ruolo e dà il suo contributo per la riuscita collettiva. Suonare ti mette a stretto contatto con gli altri e le differenze divengono opportunità e arricchimento.
Molti politici italiani dovrebbero imparare a fare musica. Saremmo certamente un paese migliore.
E’ vero che gli Artisti sono benefattori dell’Umanità?
Non penso spetti a me rispondere.
Molto dipende dalla gente, dalla sensibilità delle persone di capire quanto l’arte sia importante.
I giovani giapponesi che suonano gli strumenti a plettro sono molti, hai rapporto con loro, hai mai suonato in Giappone?
Sono stato per sei tournée negli ultimi 10 anni. È un paese che amo molto.
In ogni città si possono trovare orchestre e negozi specializzati alla vendita di articoli specifici, corde, plettri, custodie e anche gadget curiosi, come l’impermeabile per mandolino!
La cosa che mi ha stupito maggiormente dei mandolinisti giapponesi è la loro caparbietà che si mantiene immutata nonostante il passare del tempo. A questo proposito mi piace raccontare l’aneddoto del viaggio che fece mio nonno nel ’71.
Fu accolto all’aeroporto da un’orchestra a plettro che gli suonò ‘O Sole mio. Avvicinandosi ai musicisti si accorse che avevano volutamente tolto una delle due corde “Sol” ai loro mandolini. Chiese spiegazioni riguardo questa scelta, e loro, perplessi, gli risposero, mostrando una sua foto promozionale su una rivista musicale, che avevano seguito la sua “scuola”.
In questa foto infatti, il mandolino di mio nonno, aveva una sola corda sol. Probabilmente durante la sessione fotografica si era rotta la corda mancante, e mio nonno non aveva avuto il tempo di sostituirla. Questo era stato interpretato dai giapponesi come una scelta tecnica.
Una volta, invece, dopo un concerto tenuto a Sapporo, il capoluogo dell’isola di Hokkaido, nel nord del paese, mi si avvicinò un signore anziano. Aveva aspettato più di un’ora, dalla fine del concerto, solo per potersi avvicinare a me e dirmi, emozionatissimo, “Giuseppe Anedda is the best!”, prodigarsi in un inchino rispettoso, e andare via soddisfatto.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Il mio lavoro, come quello di molti colleghi si divide tra insegnamento e concertismo, e non senza qualche difficoltà…
L’esperienza didattica, iniziata quasi per caso, ha assorbito ultimamente gran parte del mio impegno. È necessario un continuo aggiornamento e approfondimento non solo degli aspetti squisitamente musicali, tecnici ed interpretativi ma anche di quelli psicologici. Insegnare in Conservatorio, nella parte più alta del percorso accademico, è un grande privilegio, ma anche una enorme responsabilità. In virtù di questo, spero di continuare a migliorarmi come didatta cercando di sbagliare il meno possibile.
Per quanto riguarda l’aspetto concertistico sto ultimamente attraversando un periodo particolarmente stimolante. A Palermo sono entrato in contatto con artisti importanti, non solo musicisti, da cui sto imparando molto.
Porterò questa esperienza e questo arricchimento all’interno del Quintetto Anedda. Dopo la tournée estiva inizieremo la lavorazione di un nuovo progetto discografico che vedrà la partecipazione di alcune “eccellenze” palermitane.
Un sogno che mi piacerebbe realizzare, invece, è legato al ritrovamento dei mandolini che mi sono stati rubati, ormai tre anni fa. Alcuni ladri si sono introdotti a casa mia, a Roma e hanno rubato “solo” tre mandolini, tra cui quello lasciatomi in eredità da mio nonno.
Un grande dolore, una ferita ancora aperta, non solo per il gravissimo danno professionale, dal momento che non ho ancora trovato uno strumento paragonabile a quel mandolino, ma anche per il danno affettivo, che come è facilmente intuibile è incalcolabile.