“Cento passi per la Sicilia” si è presentato all’elettorato utilizzando il tradizionale comizio senza preoccuparsi del numero degli ascoltatori. Tanto i presenti, ha sottolineato Antonio Palumbo, ci sono liberamente, senza essere costretti ad esserci.
E nei loro interventi, Antonio Palumbo, Fabio Patti, Alessio Grancagnolo e Ferrero, hanno tracciato il differente modo di fare politica rispetto agli altri partiti. Hanno ricordato le lotte per la democrazia, per il diritto al lavoro, per il diritto allo studio e alla salute, per la lotta alla mafia. Hanno parlato di diritti e come questi vengono trasformati in favori per alimentare il clientelismo e per mantenere schiavo un popolo. Hanno utilizzato parole ormai in disuso che, comunque, fanno sempre bene alle orecchie come “popolo”, “sfruttamento”, “mafia montagna di merda”, “nascoste promesse di lavoro”. E qui mi fermo per tornare al comizio come forma di comunicazione con l’elettorato, ché una cosa diversa rispetto all’incontro organizzato nei saloni, all’intervista televisiva o sulla stampa. L’incontro pubblico, non circondato dallo “squadrone” di sostenitori possono permetterselo in pochi.
Diversamente dal passato, quando erano i partiti politici a fare la differenza e non gli uomini, negli incontri pubblici si temevano le reazioni della Destra contro la Sinistra e viceversa, oggi questo fenomeno è abbondantemente superato e i momenti di tensione possono essere dovuti, quasi esclusivamente, dalla persona del politico a rischio di pomodori in faccia da parte degli stessi simpatizzanti del suo partito. Convinti elettori vomitano il latte materno nel vedere presenti nei loro partiti alcuni candidati che hanno tradito gli ideali politici. La crescita del fenomeno dell’astensionismo ne è la prova.
Ora, con questo non voglio sostenere che tutti devono ricorrere al comizio per dimostrare la loro presentabilità, viceversa sono convinto che non tutti possono permettersi il lusso di presentarsi a schiena dritta davanti al popolo.