Giuseppe Maurizio Piscopo
Lillo Giglia si laurea in architettura a Palermo.
Dal 2004 svolge attività professionale singola e associata, realizzando interventi di architettura residenziale, architettura degli interni, negozi, allestimenti espositivi e interventi di recupero nei centri storici, ricevendo riconoscimenti significativi nel panorama nazionale.
Collabora alle attività connesse ai corsi di progettazione architettonica e museografia, presso la Scuola Politecnica di Palermo e svolge attività di ricerca.
Nel 2012 è stato invitato ad esporre alla tredicesima “Mostra Internazionale di Architettura” Biennale di Venezia, Padiglione Italia, Giovani architetti italiani.
E’ socio fondatore dell’associazione F.U.N. (Favara Urban Network) e membro attivo della Farm Cultural Park, centro culturale contemporaneo, che promuove la riqualificazione urbana di Favara attraverso l’arte contemporanea, il design, l’architettura.
E’ docente e tutor di SOU, la Scuola di Architettura per bambini di Farm Cultural Park.
Con il progetto QUID vicololuna, nel novembre 2016, ha vinto il primo Premio RI.U.SO_05, promosso dal CNAPPC e dalla Biennale di Venezia.
Di recente ha vinto il concorso nazionale di progettazione per il “Nuovo Complesso Parrocchiale Santa Barbara” a Licata, Agrigento.
Quando inizia esattamente la tua attività artistica e professionale?
Dal 2004 svolgo attività professionale come socio fondatore dello studio Lillo Giglia Architecture con sede a Favara.
Come eri da bambino, ricordi il primo giorno di scuola, il tuo maestro, il tuo compagno di banco, l’atmosfera di allora?
Ero un bambino curioso di scoprire tante cose, un bambino che amava guardare il mondo a testa in giù.
Del mio primo giorno di scuola ricordo la tensione della sera prima e la foto ricordo, ben custodita, scattata di mattina presto con tutti i visi dei miei compagni impauriti.
Non dimenticherò mai la maestra delle elementari, ha lasciato un segno indelebile durante i cinque anni di scuola: una Signora Maestra con cui mi relazionavo spesso, seguivo i suoi atteggiamenti, i movimenti e lo stile.
Un architetto è un sognatore, uno che progetta il mondo, uno che migliora la città e la vita di tutti.
L’architetto oltre che essere un visionario, ha l’obbligo di essere un sognatore e un curioso, di amare la natura, la musica, il teatro, il cinema, la moda e tutte quelle discipline che riguardano l’arte e la vita in generale.
In che cosa consiste il lavoro di un architetto nel folle mondo di oggi?
L’architettura contemporanea oggi viene veicolata attraverso le grandi opere delle cosiddette archistar o dagli studi multinazionali.
Le riviste di settore, i giornali pubblicano opere straordinarie lontanissime dalle nostre possibilità economiche e forse tecnologiche. Sembra quasi impossibile confrontarsi con questo mondo dell’architettura internazionale dato la scarsità di mezzi di cui disponiamo in Italia.
Esiste anche un mondo parallelo a quello delle archistar ed è quello fatto da piccoli professionisti che ogni giorno, schiacciati dalla generale crisi economica, lottano quasi per la sopravvivenza.
Un dramma che induce molti architetti a fare qualsiasi cosa, accettare condizioni, rinunciare alla propria creatività e scendere a compromessi pur di lavorare.
Spesso si i perde di vista l’ambizione, la ricerca, la qualità del lavoro e ci si dimentica del valore che assume l’architettura nella società.
Non bisogna dimenticare che, ancora adesso, stiamo pagando lo scotto degli anni ’80 e ‘90, quando una politica scellerata e una imprenditoria arruffona, sommati a fenomeni di illegalità, hanno arricchito molti professionisti attraverso committenze facili le quali hanno generato tanta “malarchitettura”. La qualità del progetto era quasi ritenuta superflua, molti architetti si dimenticavano di “progettare” ma non di firmare gli incarichi.
Aggiungiamo, anche, che oggi l’Italia è un Paese seduto su una panchina che guarda, in attesa di scoprire il mondo da un punto di vista diverso, dove d’insormontabile ci sono solo tanti cavilli. Per gli architetti italiani uno dei problemi che divide l’Italia dal resto d’Europa è anche l’incolmabile distanza tra la cieca e autoreferenziale legislazione urbanistica e la drammatica realtà della nostra vita quotidiana; l’architettura italiana soffre e per un giovane professionista è quasi impossibile accedere al mercato del lavoro.
Allora cosa bisogna fare?
Per fortuna lo sguardo dell’architettura contemporanea, ultimamente, sa anche osservare da vicino le piccole cose, le architetture che cambiano i processi e incidono profondamente sull’avanzamento culturale della società.
Come potete continuare a svolgere la vostra professione di architetti?
Di sicuro la figura dell’architetto, in questo momento, deve assumere un atteggiamento diverso, esplorare percorsi differenti.
Una riflessione sul “pensiero ”va fatta: l’architettura è una disciplina composita e complessa, che svolge lavori e funzioni differenti all’interno del grande bacino della ricerca urbana: creatività, ricerca, innovazione e desiderio di migliorare il mondo sono ingredienti fondamentali per ripartire.
Ho conosciuto Renzo Piano. Ho visto nel mondo le costruzioni che ha realizzato a Parigi, a Trento. Che cosa contiene la mente di un architetto oltre ai disegni, le misure e i colori del mondo?
L’architettura è la gente, fatta di persone e per le persone. La sfida dell’architettura è quella di rendere la nostra vita migliore.
Renzo Piano nel suo libro, “La responsabilità dell’architetto”, ci racconta che“la città è luogo di contaminazione, di contatto fisico, è un luogo di contatto reale”. La città è più di un insieme di strade, di piazze, di giardini, di palazzi, di persone, è uno stato d’animo. E’ una straordinaria emozione.
I Luoghi generati devono essere in sintonia con la società che li vivrà, con la sua cultura, con la sua composizione sociale, con le sue abitudini di vita .
In che modo collabori con la Farm che ha rivoluzionato Favara ed è l’esempio più interessante della Sicilia, e non solo, del nostro tempo?
Sono membro attivo fin dalla sua nascita, ovvero dal 25 giugno 2010. Condivido tutte le iniziative, gli eventi, partecipo agli incontri culturali e alle discussioni su come immaginare il nostro futuro e il futuro dei nostri figli. Abbiamo il dovere di farlo. Adesso, con orgoglio, sono anche docente e tutor didattico di SOU, la prima Scuola di Architettura per bambini in Europa.
Andrea e Florinda, ma anche tante altre persone che gravitano nel mondo Farm, incoraggiano quotidianamente al confronto, ad agire, a metterci in gioco, ad esserci sempre e a migliorarsi. Siamo una grande famiglia che confluisce ad un unico progetto.
Queste sono le premesse e gli stimoli che mi hanno spinto a generare il mio piccolo “microcosmo”, Quid vicololuna, legato indissolubilmente al pensiero della Farm.
A proposito di Quid vicololuna, cos’è? Ne ho sentito parlare molto.
QUID vicololuna, il cui nome deriva dall’omonimo vicolo, è un comparto urbano ubicato ai margini del centro storico di Favara.
È un progetto contemporaneo che si propone di attivare un processo di rigenerazione di un tessuto complesso nel quale convivono vecchi e nuovi fabbricati, spazi pubblici e semi pubblici strutturati in piazze, strade storiche, vicoli, slarghi, corti e giardini: un’articolata dialettica tra pubblico e privato che determina una certa vitalità dell’area.
Sulla base di questi concetti l’intervento recupera con oculatezza antiche case dirute con tutti i loro spazi annessi, rifunzionalizzandoli in centri culturali per la diffusione dell’architettura contemporanea, spazi per la degustazione, spazi ricettivi diffusi, cortili contemporanei e giardini capaci di attrarre eventi, risorse, investimenti, energie in un contesto urbano ripensato, innovativo e soprattutto condiviso. Fatto strano è che è un progetto di cui sono committente/proprietario e progettista.
Perché la Farm attira gli architetti di tutto il mondo e non solo? Qual è il segreto di tanto successo nel mondo secondo te?
Nell’home page del suo sito, la Farm si presenta così: stiamo provando a costruire un pezzo di mondo migliore, siamo una piccola Comunità impegnata ad inventare nuovi modi di pensare, abitare e vivere.
La Farm Cultural Park appare come una vera fabbrica dei sogni, c’è un avanzamento culturale in atto: sta provando ad abituare le persone a costruire un pezzo di mondo migliore, alla liberta’ di pensiero e di conseguenza a scegliere, alla magia della creativita’, alla vocazione, a realizzare dei sogni collettivi, al desiderio di rendere possibile, l’impossibile. SOU, la Scuola di Architettura per bambini di Farm Cultural Park, è il progetto più grande e incarna tutto questo.
Il nostro paese cade a pezzi, le case sembrano fatte di sale.Che cosa bisogna fare per recuperare il centro storico e renderlo più vivibile?
Un degrado urbano rappresentato da un centro storico che si sbriciola spesso corrisponde anche a un degrado sociale che lo condanna alla disgregazione.
Lo sfondo del nostro centro storico (Favara), nel 2010, è stato teatro di un agghiacciante disastro che ha riempito alcune pagine indelebili di cronaca nera nazionale.
Come non sempre avviene in occasioni simili, i riflessi di questo fatto, hanno influito positivamente sulle coscienze della collettività; è come se si fosse tacitamente condiviso un atteggiamento, un modo di porsi di fronte ad una realtà, peraltro molto particolare – a tratti drammatica – orientato in una mossa di intese comuni, di riflessioni che convergono in un’unica direzione, ovvero nel soddisfare quel desiderio di trasformare in meglio il nostro territorio.
Inaspettatamente si è avvertita la necessità di cambiare direzione, di risvegliarsi da un torpore durato troppo a lungo.
Il caso Favara fa riflettere e va tenuto in considerazione.
Forse oggi potrebbe essere ritenuto un progetto pilota. Ci si è proposti di intervenire con un approccio glocal che ha agito sulla struttura fisica della città, concorrendo a rigenerare anche linguisticamente, il sistema più antico e depauperato nel tempo, dal tempo.
Quindi, ri-pensare e dare valore al ruolo che la qualità dell’architettura può svolgere all’interno, in questo caso, di un centro storico.
Nei progetti di Farm Cultural Park e di Quid vicololuna, l’architettura diventa lo “strumento intelligente” per rigenerare; coesistono due dimensioni che si confrontano in un processo di continua interazione: l’opera di conservazione e l’ideazione di una nuova architettura.
I due esempi, esprimono centralità nel dialogo tra nuove esigenze e stratificazione storica del paesaggio, ed hanno avuto la capacità di implementare le opportunità di relazione sociale all’interno delle comunità mettendo le persone al centro del progetto orientandoli ad un’empatia con i luoghi con i quali hanno stabilito legami virtuosi e imprescindibili.
Sei stato definito dalla stampa un architetto emergente DOC:con il progetto QUID vicololuna hai vinto il 1° Premio RI.U.SO, promosso dal CNAPPC e dalla Biennale di Venezia. I tuoi progetti sono pubblicati nei migliori siti di architettura e su molte riviste di settore. Raccontami un po’.
E’ soltanto frutto di un duro e costante lavoro basato soprattutto sulla ricerca. Continuo a studiare, viaggiare ed osservare. Non perdo di vista l’innovazione, l’evoluzione della disciplina. Viviamo in un’era dove tutto scorre veloce e sinceramente non mi piace stare a guardare.
Che cosa non è stato fatto a Favara, Palma, Licata e Gela quattro esempi di abusivismo sotto gli occhi di tutti?
Al contrario, invece, è stato fatto di tutto. Si è costruito senza un progetto, un pensiero comune.È mancata la coscienza di tutti.
Come dovrebbe essere veramente una città del futuro?
Intanto bisogna concepire la città come il luogo in cui si coniugano tutti gli stili architettonici e tutte le epoche artistiche. L’ambiente che ci avvolge quotidianamente è un componente importante nella formazione e nella costruzione della nostra sensibilità.
Credo sia necessario rafforzare le relazioni tra le parti della città attraverso un concetto che segue gli input di “città europea”, che sappia puntare sul concetto di innovazione in senso lato, rimettendo in discussione gli interessi e le scelte del passato in funzione di un’idea di futuro basato su temi sostenibili, in termini sociali, economici, ambientali e generazionali.
Qualche illustre docente afferma:“che la pianificazione territoriale e il progetto urbanistico devono avere la capacità di trasformare le numerose isole dell‘armatura territoriale in un arcipelago culturale creativo”.
In una città bella viviamo tutti più contenti. Soprattutto i bambini, loro sono il nostro futuro.
Tu conosci Scicli, Noto, Ragusa. Queste città oltre ad essere tutelate dall’Unesco per il barocco dei loro palazzi, sono amate dai propri cittadini.
La tutela, in primis, deve essere fatta dai propri cittadini, da coloro che abitano la propria città. Gli abitanti di queste città lo hanno capito in anticipo e adesso sono in vantaggio.
In Sicilia siamo in grave ritardo nello smaltimento dei rifiuti, è possibile che non si riesca a far partire la raccolta differenziata?
Non è possibile risolvere il problema senza il contributo di tutti. Sul tema rifiuti, bisogna modificare le abitudini culturali consolidate, ognuno deve fare qualcosa con impegno costante e spirito di collaborazione: istituzioni, aziende e singoli cittadini.
Da dove partire per iniziare uno sviluppo sano del territorio?
Credo che l’Italia abbia bisogno di una nuova traccia educativa: alla base di tutto bisognerebbe incentivare la crescita di una nuova cultura ambientale.
L’obiettivo deve essere quello di migliorare la qualità ambientale del vivere, perseguire
i principi di sostenibilità nella riqualificazione territoriale, il riequilibrio dell’eco-sistema
cittadino e favorire politiche volte alla diminuzione degli inquinanti sul territorio, inseguire la bellezza.
Ti senti realizzato nel tuo lavoro?Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
L’obiettivo è quello di migliorarsi sempre, ho ancora tante cose da fare.
Che cosa rimane dell’esempio e degli studi francesi di Le Corbusier?
Le Corbusier è stato un “visionario architetto”, urbanista, pittore e designer, un pensatore.
Ha progettato rivoluzionarie residenze private diventate un modello per l’architettura, edifici pubblici in tutto il mondo.
Ha inventato soluzioni abitative moderne come le Unités d’Habitation; ha pianificato città ispirate a visioni utopistiche, come Chandigarh, capitale dello stato indiano del Punjab; e ha inventato mobili di arredamento entrati a far parte della cultura popolare occidentale.
I suoi libri mi accompagnano ovunque.
Come dovrebbero essere costruite le case del futuro?
La casa del futuro deve essere sostenibile, energeticamente autonoma, ovvero in grado di produrre tutta l’energia di cui necessita. Oltre ad essere costruita bene, deve essere anche vivibile, cioè garantire una qualità di vita alta. Bisogna tenere sempre conto anche del contesto dove insiste e dialogare con tutto quello che ci sta intorno.
Recentemente hai vinto il concorso di architettura per il nuovo “Complesso Parrocchiale di Santa Barbara a Licata”.
Si, assieme ai miei amici architetti Francesco Lipari e Giuseppe Conti siamo riusciti nell’impresa di partecipare e di vincere il concorso.
Credo che progettare una Chiesa sia il sogno di ogni architetto. Abbiamo studiato tanto, ci siamo immersi in un mondo tutto nuovo, di spiritualità, di significati.
La complessità del progetto ci ha fatto riflettere: non si può partire dalla Chiesa considerata solo come opera muraria. Prima di tutto ci si deve porre di fronte ai soggetti per i quali sarà edificata e al Soggetto divino a cui è riferita.
Ringrazio le tante persone che ci hanno collaborato: i liturgisti, gli artisti, ivideomaker, ecc. E’ stato un intenso lavoro di gruppo, un sogno straordinario che si è avverato. Da adesso, e per i prossimi tre anni, ci concentreremo sulla realizzazione dell’opera.
Hai mai progettato una scuola materna, quali materiali dovrebbero avere le scuole per rispettare tutte le norme e gli standard di sicurezza?
Purtroppo ancora no. Spero, nel futuro, di avere questo privilegio e ti darò la risposta.
Qual è il fascino che sentono i giapponesi per la Sicilia, da che cosa sono attratti?
Immagino che siano affascinati dalla nostra cultura, dal nostro immenso patrimonio storico/artistico, dalle nostre tradizioni enogastronomiche e sicuramente dal nostro stile di vita, completamente diverso dal loro. Ci guardiamo a vicenda con interesse e curiosità.
Le nostre città ci rendono infelici, ci soffocano, sono la causa di tante nevrosi… Vivere in un palazzone forse è la cosa peggiore che abbiamo scelto. Vivere senza un filo di verde e soprattutto senza regole… Che ne pensi?
La questione delle periferie diventa oggi sempre più spesso sfida all’interno dei complessivi processi di pianificazione strategica e di riqualificazione urbana.
Le periferie urbane, purtroppo, sono i luoghi dove si concentrano disagio sociale, conflitti culturali e degrado fisico ed ambientale.
I nuovi quartieri, nati ai margini della città e spesso senza alcun disegno, si somigliano tutti ed hanno aggredito con prepotenza il paesaggio creando uno scenario sconcertante. Le singole costruzioni hanno preso il sopravvento e si sono stratificate a macchia d’olio in tutte le direzioni. Spesso un giardino appare caricatura di se stesso; si é quasi riusciti a chiudere la natura, forza creatrice, fuori dai nostri spazi vitali.
Inoltre, l’inosservanza delle norme, affiancata dall’ insufficiente autorità esplicata dalle amministrazioni che si sono succedute, l’imponente spinta esercitata dalle numerose imprese edilizie e soprattutto la persuasione popolare secondo la quale una costruzione continua di fabbricati – atta a soddisfare le esigenze abitative proprie e quelle presunte delle generazioni future- sarebbe stato l’investimento più redditizio, ha generato un assetto urbano irregolare, diversificato e senza identità, quindi poco adeguato alle esigenze reali della collettività. È stata una vicenda sciagurata, una vicenda nella quale tutti dobbiamo recitare il “mea culpa”.