Giuseppe Maurizio Piscopo.
Gloria Minafra è nata a Palermo, ma sente di appartenere a tutti i luoghi ricchi di storia e bellezza, quindi quando può viaggia. I primi anni della sua vita li trascorre a New York. Da bambina ha avuto la fortuna di guardare il mondo attraverso la macchina fotografica che suo padre portava al collo. In questa intervista ricca di poesia e di sogni Gloria racconta i viaggi ed il suo modo di vedere la vita…
Come era Gloria da bambina?
Era sempre attenta agli altri, badava ai suoi fratelli più piccoli e si preoccupava che nessuno di loro subisse delle ingiustizie. Ho da sempre un innato senso di giustizia che mi ha spinto a difendere i più deboli e questo lo ricordo sin da quando ero bambina. Le foto da piccola mi ritraggono pensierosa, forse perché la mia sensibilità mi ha portato sempre a “camminare sulle uova”, cercando di capire gli altri per non ferirli.
Quale ricordo hai dei tuoi viaggi e di New York in particolare?
Viaggiare è trovarmi in un’altra parte del mondo per conoscere nuove culture. Poi sai, quando sei lontano nessuno ti racconta i suoi guai e questo ti fa credere che vada tutto bene. Spesso i miei viaggi sono stati legati ai libri che ho letto e, prediligendo gli scrittori dell’America Latina, ho scelto di visitare quei posti per sentire odori e sapori diversi, immaginati attraverso la lettura. Dei latini ho sempre apprezzato il loro modo di affrontare la vita, spesso catastrofica e raccontarla con un sorriso. Amo la positività e la leggerezza, il posarsi delle farfalle sui fiori esprime il senso del mio pensiero. Secondo me la loro capacità di superare il dolore è diversa. I miei viaggi sono stati soprattutto fuori dall’Italia, anche se da un po’ di tempo ho scelto Bologna come ombelico del mondo, così da prendere il primo treno al “volo” e fotografare ciò che mi chiama al momento. Quello che ho sempre cercato di fare è raccontare attraverso lo scatto le mie emozioni. Riguardo New York, più che ricordi, ero piccola, credo che mi abbia lasciato difficoltà, oramai superate, nel mangiare e nel comunicare, facevo grande confusione a farmi capire. Parlavo un misto di italiano e inglese, un vero pasticcio.
E del Messico e dell’America Latina?
Adoro questi posti. Le emozioni sono state diverse, gioia infinita, tristezza e senso d’impotenza. Parlo in particolar modo del Messico che ho girato in lungo e in largo. Ho visto profonda povertà, ma soprattutto compostezza. Bambini per strada che vendono piccole cose prodotte da loro senza chiedere l’elemosina. Questo mi ha dato un pugno allo stomaco perché penso a quanto il resto del mondo li ignori. Un giorno siamo stati fermati da due bambini che tenevano ai due estremi della strada una corda. Hanno bloccato la macchina solo per vendere delle banane. Non dimenticherò mai le galline tirate per il collo in chiesa e date in sacrificio. E poi il tango e Buenos Aires. Amo le emozioni forti e la fotografia e la danza per me le rappresentano.
Tu e tuo padre avete la stessa passione: portate la macchina fotografica al collo…
Mio padre per me è musica e fotografia e…tanto altro ovviamente, ma i ricordi di bambina sono legati a questi due aspetti. Mai foto in posa e cassetti pieni di provini. La sua passione l’ha trasmessa a noi fratelli. Da lui ho imparato che la macchina fotografica è un’appendice della mano, è il nostro occhio.
Io amo la Francia e tutto quello che è francese. Per te che cosa ha rappresentato Parigi?
Ho vissuto per qualche mese a Lyon, Parigi l’ho solo attraversata. Così come ho girato in macchina per la Loira, la Normandia, la Borgogna e la Corsica. I francesi sono nazionalisti e per questo molto gelosi della loro terra. A Lyon mi sono sentita a casa, del resto ho studiato all’università e l’ho vissuta da vicino. E’ la terra di tutti, il mondo si riunisce a Lyon. Cosa assai diversa nelle altre regioni della Francia che mi hanno letteralmente scacciata. Mi sono sentita un’ospite indesiderata, perché come sappiamo, i francesi non nutrono una grande simpatia per noi italiani.
Hai deciso di vivere a Palermo per quale ragione?
Palermo mi ha trattenuta qui.Quando qualche anno fa mi sono dimessa dal mio lavoro perché era arrivato il momento di dare una svolta alla mia vita, cambiando professione, alimentazione e tutto quello che fino a quel momento aveva danneggiato la mia salute, avevo deciso di trasferirmi a Bologna. Avevo frequentato uno stage in Emilia Romagna necessario per concludereil Master di II livello che avevo seguito all’Università di agraria. Ero pronta a trasferirmi, ma sono rientrata per alcuni progetti che stavano prendendo piede a Palermo. A quel punto ho capito che dovevo raccontare Palermo, la mia Palermo.
Una tua foto ha vinto il contest fotografico bandito dall’Unesco per la salvaguardia del patrimonio arabo normanno. Ne vogliamo parlare?
Stavo lavorando al progetto sugli antichi mestieri in Sicilia e mi accorsi che mancava solo qualche giorno per partecipare al bando. Ero già pronta perché, senza saperlo, avevo dedicato un anno a fotografare i monumenti della mia città, palazzi, chiese e ovviamente mi ero dedicata al patrimonio Unesco. E’ stato molto semplice, ho aperto la cartella file, ho scelto una foto e me ne sono dimenticata, fino a quando mi sono accorta che la foto era stata selezionata tra i vincitori. E’ un particolare del tetto della Cappella Palatina al quale sono particolarmente legata.
Cosa pensi dei mestieri di una volta?
Che è un vero sacrilegio farli dimenticare. Da quando ho deciso che da siciliana dovevo valorizzarli, sono nate le botteghe storiche e i lustrascarpe.
Ho visitato le botteghe una ad una, scovandole attraverso il passaparola, perché non esiste nulla in rete e mi sono accorta che abbiamo ancora un patrimonio inestimabile di cui, soprattutto i giovani non conoscono l’esistenza, mentre gli adulti pensano che oramai sia estinto. Ovviamente non è così, questi artisti continuano a produrre, anche se con grandissima difficoltà perché l’artigianato è il settore più in crisi economicamente. Ne è nata una mostra fotografica itinerante che è partita dalle scuole, ho coinvolto la dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo P. Mattarella – Bonagia, il sindaco, l’assessore alla scuola, il provveditore, il presidente di confartigianato. Insomma sono riuscita in qualche modo a fare conoscere molti di loro che lavorano nell’ombra. Confcommercio mi ha coinvolto successivamente nel progetto delle botteghe storiche che partirà a marzo.
Che ricordo hai della scuola elementare, dei tuoi compagni e della tua Maestra?
Ricordo giochi, amicizie, le prime “simpatie”, un periodo bellissimo. La maestra che adoravo andò via e mi ritrovai con altre assolutamente anonime. Le mie prime vere amicizie sono nate in quegli anni.
Sono felici i bambini di oggi, tu sei stata una bambina felice?
La mia generazione ha sulle spalle il rigore, l’educazione severa. Mi sento diversa dalle nuove generazioni, però di contro, crescendo questa indipendenza che è scaturita dall’educazione ricevuta, mi ha preparato per affrontare il mondo del lavoro. Ricordo che vivevo di sogni nel cassetto, di progetti. Appena laureata ho cominciato subito a lavorare e non ho mai smesso. Quello che vedo in gran parte dei giovani d’oggi invece, è un senso d’impotenza nei confronti della vita. Ecco io questo sentimento non l’ho mai provato.
Chi è una donna fotografo alle soglie del terzo millennio?
Posso parlare di quello che sono io in quanto donna. Credo che la sensibilità renda unica la fotografia. Oggi, più che mai, mi sento di appartenere al mondo per raccontarlo. Ho acquisito quella libertà che mi permette di potere sognare e fare.
Che cos’è per te la fotografia?
Io e la mia macchina siamo un tutt’uno. Quando scatto mi estraneo dal resto che mi circonda. Scatto quando sento una pulsione da dentro e lì capisco che la foto riuscirà a trasmettere quello che ho provato. E’ la stessa sensazione di quando ballo, sono io lì e in nessun altro posto. Quando ad esempio fotografo le processioni, mi ritrovo magicamente sempre davanti il santo, non so, tutti mi cedono il passo. Tante volte mi è capitato di commuovermi, sento delle vibrazioni e lì allora capisco che non potrei fare a meno di fotografare. Per me la fotografia è movimento è espressione dell’anima, cercare di fare venire fuori l’anima delle cose e non solo delle persone. Una mia amica mi ha detto “nelle tue foto c’è la magia della vita, quella che sfugge nella vita di ogni giorno…tu riesci a fermare la bellezza…io sento pure l’odore..”
E la musica?
Non so vivere senza. La musica mi accompagna e il genere varia a seconda degli stati d’animo. La musica è salvifica.
Che cosa rappresenta per te la radio?
La radio l’ascolto in macchina, mi tiene compagnia. A casa preferisco non essere interrotta dalle voci degli speaker.
Conservi ancora la macchina fotografica che aveva tuo padre. Tutto nasce da questa esperienza?
La tiene ancora mio padre che è un mio grande fan. Sì, devo molto alle abitudini di mio padre, ho sempre saputo cosa fosse quella “cosa” che gli pendeva dal collo. Poi crescendo, mio fratello stampava a casa e il mio ex fidanzato, attuale marito, mi ha regalato la mia prima “vera” macchina fotografica.
Qual è il tuo rapporto con i paesi della Sicilia?
Amo la Sicilia, così diversa e variegata. Ovviamente amo tutti quei paesini che sono stati preservati dall’abusivismo. Quando posso, il fine settimana lo dedico per andare in giro, spesso con la motocicletta e il vento in faccia.
E con Palermo?
Ho un rapporto di odio e amore. A Palermo le regole vengono infrante. Tutto è permesso, tutto è possibile anche quello che non lo è. Da questo punto di vista mi sento molto nordica e per questo ci vivo con grande disagio. Quando vado a Bologna, il che capita quasi ogni mese, quando torno ho bisogno di una settimana di assestamento. Però quando sono a Bologna mi mancano i miei vicoli da fotografare, la mia Palermo così unica al mondo.
Qual è il potere di una foto?
Le foto hanno la capacità di esprimere tutto senza bisogno delle parole. Le foto hanno il potere di raccontare una storia. Una foto può mistificare la realtà, renderla diversa da quello che è. Una foto può raccontare anche quello che non è.
E’ vero che i giornali stranieri fanno un uso migliore della fotografia rispetto agli italiani, che ne pensi?
Ci sono tanti fotografi italiani che hanno fatto la storia della fotografia. Secondo me per alcuni aspetti è l’esatto contrario. Ad esempio la Birth Photography in Italia è discreta, racconta il parto non fotografando il dettaglio, cosa che invece non fanno i fotografi americani che sbattono sui giornali delle foto inguardabili. E’ facile, molto facile fotografare il fatto, è lì è successo e viene immortalato. La cosa più difficile è generare quella immaginazione che non necessita di una fotografia tale e quale.
Che cos’è la saggezza per un fotografo ?
Non violare la privacy, non andare oltre. Bisogna che prima di tutto ci sia rispetto per gli altri.
Perché gli uomini sono così violenti con le donne? Che cosa non hanno ancora capito gli uomini delle donne?
Gli uomini non hanno capito che le donne non gli appartengono. Credo che alla base ci sia il senso del possesso. L’uomo violento sente di possedere una donna, non in senso metaforico.
Perché sono scomparsi gli studi fotografici di paese con la loro memoria storica?
Oramai le nuove generazioni scattano con le reflex, non si stampa più. Tutti hanno almeno un cellulare e difficilmente ci si rivolge al fotografo. Forse è per questo.
Che cos’è veramente la libertà per un fotografo, per una persona giovane come te?
Libertà, mi sono sempre chiesta se siamo davvero liberi. Per certi aspetti la macchina fotografica ti fa sentire libero perché basta decidere di andare e portarla con te, per sentirsi liberi in quel preciso momento. E’ quello che ti dicevo prima, nell’attimo in cui fotografo tutto il resto si volatilizza. Io e il soggetto siamo lì, il tempo passa e non te ne accorgi. In quel momento tu stai disponendo liberamente del tuo tempo.
In Sicilia c’è un particolare modo di raccontare la vita: “Vedendo senza vedere”, “Dicendo senza dire”… Qual è il vero mistero della Sicilia?
Abbiamo un nostro linguaggio, universale per noi siciliani. La parola non detta, la mezza parola… Non so, chi nasce in Sicilia dà per scontato alcune cose, viaggiando ti rendi conto che la tua terra è unica, anche nel linguaggio.
La bellezza salverà il mondo, ha scritto uno scrittore russo: FedorDostoweskj. E’ così…
Certo, se tutti vedessero la bellezza, questa salverebbe il mondo. Purtroppo il malvagio si nutre di orrore, di bruttezza. Il bello e il brutto convivono. Posso solo dire che il pensiero positivo mi fa sperare che la bellezza prevalga sulla bruttezza.
Una bella foto può salvare il mondo?
Una bella foto dà speranza. Credo che bisognerebbe invadere il web solo di belle foto. Bisogna nutrirsi di bellezza per vedere bellezza è questo il mio motto.
Che cos’è per te la bellezza, aiuta a vivere una donna o le crea più problemi?
Per me la bellezza è effimera se è solamente esteriore. Una donna è bella quando lo è dentro e fuori. A volte le donne la strumentalizzano, molto spesso lo fanno gli uomini. La bellezza bisogna saperla “portare” con eleganza.
Che cos’è l’amore per te? L’hai incontrato nella tua vita?
L’amore è altruismo, è dare, è essere presenti in punta di piedi, è esserci. Quando parlo di amore lo intendo in tutte le sue forme, non solo nella coppia, è l’amore fraterno, l’amore verso i genitori, verso i nipoti ecc. Io ho sempre amato, amo l’amore, senza amore non c’è vita. Sembra retorica, ma lo penso fermamente.
Nelle librerie si trovano sempre meno libri fotografici, qual è secondo te la causa?
Costa troppo stamparli?
Hai mai fotografato una scena di mafia o didolore per il tuo lavoro?
Mai, mi sono sempre chiesta se ne sono capace. Ho un progetto in stand by, ma ancora non ho avuto il coraggio di iniziarlo. Quello che mi ferma è infrangere la barriera del dolore altrui. Fino ad oggi ho raccontato bellezza.
Le città di oggi sono caotiche e rendono le persone nervosissime. E’ come se perdessero il controllo, non amano più i tramonti, i fiori, i colori della luna, i colori del cielo, l’azzurro del mare, gli occhi dei bambini. Forse bisogna lasciare la città per ritrovare la pace con se stessi e per apprezzare il silenzio… Che ne pensi?
Le città come Palermo sono sicuramente caotiche, però è anche vero che ci sono delle oasi in cui rifugiarsi, basti pensare a Villa Giulia, l’Orto Botanico, villa Trabia, la Cala ecc. ecc. Sono luoghi magici dove fermarsi per sciacquare la testa e godere della bellezza. A questo proposito mi hai fatto pensare ad una foto che ho scattato dalle parti di Ragusa, io la chiamo “il pensatore”. E’ la storia di un Arabo lontano dalla sua famiglia, sposato e con un figlio piccolo che non vede mai. Credo che dalla foto traspaia la malinconia che ho voluto raccontare. Mi hanno detto che questa foto è una poesia. Io credo che ci siano ancora persone che hanno bisogno di tutto questo, di tramonti e di pace.