Giuseppina Pullara
Meno di un mese fa un team di ricercatori dell’Università di Bologna in collaborazione con l’Università di Warwick e l’Università di Birmingam hanno messo a punto un nuovo test che si basa sull’individuazione di biomarcatori che potrebbero portare a diagnosi più precoci nei bambini affetti da disturbi dello spettro autistico.
“L’autismo” o meglio la “sindrome dello spettro autistico” è un disturbo neurobiologico che si può manifestare con vari livelli di gravità. Esso colpisce le aree delle abilità sociali, del linguaggio e dei comportamenti stereotipati. Parlare di disturbi dello spettro autistico sottintende il fatto che l’autismo si manifesta in forme più o meno severe.
I sintomi non sono uguali per tutti e variano a seconda della gravità del disturbo, si parla infatti di soggetti autistici ad alto funzionamento o a basso funzionamento. Questa sindrome è caratterizzata: dall’incapacità delle persone che ne soffrono di interagire con il mondo esterno con chiusura nei confronti degli altri; dal mancato apprendimento del linguaggio o inappropriato utilizzo della comunicazione verbale e dalla comparsa di comportamenti stereotipati ( ripetitività di particolari comportamenti ) come per esempio dondolare con il corpo.
Sempre più spesso si sente parlare di Autismo e questo potrebbe portare a pensare che i casi di autismo stiano aumentando rispetto al passato. Probabilmente il motivo dell’aumento delle diagnosi certificate è dovuto ad una maggiore conoscenza della sindrome. La diagnosi precoce può aiutare la riabilitazione e favorire l’autonomia dei bambini, futuri adulti, colpiti da questa sindrome per questo è importante che i genitori, che sono i primi a potersi accorgere che qualcosa non va nel bambino, sappiano quali comportamenti debbano destare sospetti. Certamente, la diagnosi spetta al neuropsichiatra dal quale il pediatra di base indirizza i genitori dopo aver rilevato l’esistenza di un problema anche grazie ai racconti della mamma.
In genere il deficit nelle abilità sociali porta il bambino: ad apparire disinteressato alle altre persone o a ciò che accade intorno a lui, a non sapere entrare in contatto con le altre persone, a giocare con gli altri o farsi degli amici, a non imitare gli altri.
Il bambino preferisce non essere toccato, preso in braccio o cullato, non si impegna, in giochi di finzione, in giochi di gruppo, non imita gli altri, non usa i giochi in modo creativo. Per quanto riguarda i sintomi del linguaggio: il bambino inizia a parlare tardi, utilizza un tono di voce atipico o per ritmo o per intensità, ripete le stesse parole o frasi più e più volte, risponde alle domande ripetendo le domande e non formulando una risposta, si riferisce a sé stesso in terza persona, usa il linguaggio in modo scorretto, interpreta ciò che gli viene detto in modo letterale non coglie l’ironia e il sarcasmo. Per quanto riguarda la difficoltà a livello di comunicazione non verbale : evita il contatto oculare, usa espressioni facciali che non sono coerenti con ciò che sta dicendo. Non coglie il significato delle espressioni facciali degli altri, ha una gestualità molto limitata, per esempio, non indica ciò che desidera, reagisce in modo inusuale ad alcuni stimoli visivi, uditivi, oppure ad alcuni sapori e consistenze. Può essere particolarmente sensibile a certi rumori anche se bassi, tende infatti a coprirsi gli occhi o le orecchie con le mani.
Per quanto riguarda i comportamenti rigidi e stereotipati : segue routine rigide per esempio allinea in modo ossessivo gli oggetti, mostra interesse per il movimento degli oggetti.
Le cause di questa sindrome non sono ancora del tutto chiare. L’ipotesi più accreditata è che il disturbo si sviluppi come conseguenza di un’alterazione a livello celebrale relativa ad un problema che riguarda i “neuroni a specchio” . I neuroni a specchio sono le cellule del cervello che governano l’empatia cioè la capacità di comprendere gli stati d’animo degli altri, che, soprattutto nei primi anni di vita consentono l’apprendimento per imitazione. Finora non è stata ancora scoperta alcuna cura davvero efficace ma la terapia di riabilitazione favorisce molto l’autonomia dei soggetti con autismo. Ci si augura che la ricerca non si fermi, che la terapia riabilitativa faccia sempre nuovi progressi e che la società si organizzi sempre meglio e conosca sempre di più i modi con cui porgersi nei confronti delle persone con sindrome dello spettro autistico e delle loro famiglie affinché possano sentirsi veramente ” inclusi.