Giuseppe Maurizio Piscopo
Valerio Attanasio (nato a Roma nel 1978) è uno sceneggiatore e regista italiano. Ha iniziato la sua carriera come assistente alla regia sul film “Liberi”(2003), di Gianluca Maria Tavarelli.
Dal 2004 al 2006 è stato lettore di sceneggiature presso la casa di produzione Fandango, realizzando anche i backstage di alcuni film, tra cui: “Le Conseguenze dell’Amore” e “L’amico di Famiglia” di Paolo Sorrentino.
Nel 2009 è stato selezionato per partecipare al Corso di Sceneggiatura Rai. In seguito ha firmato la sceneggiatura di diversi cortometraggi, tra cui “Oggi gira così”, regia di Sydney Sibilia, vincitore di numerosi premi nazionali, tra cui il premio SIAE per la Miglior Sceneggiatura 2011.
Nel 2011 ha scritto insieme a Gianni Di Gregorio la sceneggiatura di “Gianni e Le Donne”, presentato al Festival di Berlino nella sezione Berlinale Special e distribuito all’estero in più di 20 paesi, tra cui Francia, Germania, Spagna e Stati Uniti. Il film ha ricevuto la nomination ai Nastri d’Argento come Miglior Commedia del 2013.
Nel 2014 ha scritto il soggetto e la sceneggiatura di “Smetto Quando Voglio”: il film ha ottenuto 12 nomination ai David di Donatello, tra cui quelle per miglior film e miglior sceneggiatura, ed è stato nominato ai Nastri d’Argento come Miglior Commedia dell’anno. E’ stato distribuito anche in Francia con il titolo J’arrete quand je veux, oltre ad essere stato presentato a numerosi festival internazionali, tra cui il London Film Festival e il Reykjavik International Film Festival, dove ha vinto il Golden Puffin Award.
Nel 2016 ha scritto e diretto il cortometraggio “Finché c’è vita c’è speranza”, presentato alla 73esima Mostra del Cinema di Venezia nella sezione GAI (Giovani Autori Italiani) organizzata da SIAE, con il quale ha vinto numerosi premi, tra cui il Griphon Award per il Miglior Corto Italiano al Giffoni Film Festival, ed è entrato nella short list dei Nastri d’Argento 2017 come Miglior Corto.
“Il Tuttofare” è il suo primo lungometraggio da regista.
Quando e come nasce la tua passione per il Cinema?
La fascinazione per il cinema, intesa come fascinazione per la sala cinematografica, è nata dentro di me fin da bambino: mi ci portavano i miei nonni. Mi ricordo che all’epoca (negli anni Ottanta) si era soliti entrare in un cinema un po’ come passatempo. Magari una persona passava davanti ad una sala, vedeva la locandina e spinto dalla curiosità entrava a spettacolo iniziato. Poi se il film era di suo gradimento se lo rivedeva da capo nello spettacolo successivo. Mi ricordo di averlo fatto più volte. Il buio, lo schermo grande, i suoni: è una magia che sentivo ma che sento tutt’ora. Per esempio piango molto spesso, vedo i film ancora in maniera molto emotiva.
Come eri da bambino, quali ricordi hai della scuola elementare, dei tuoi compagni del tuo maestro?
Ero un bambino abbastanza timido, almeno sulle prime, poi però con i compagni di classe sono sempre andato d’accordo. All’interno del gruppo degli amici più stretti, con il tempo, sono diventato uno di quelli che fa le imitazioni dei professori, degli altri compagni. Però era una cosa che mi imbarazzava se fatta davanti a troppa gente, la facevo solo davanti agli amici più stretti: ecco spiegato il motivo per cui non potrei mai fare l’attore. Per quanto riguarda la maestra delle Elementari, la maestra Jolanda, ne ho un ottimo ricordo: era una persona molto solare, a volte scoppiava in una risata contagiosa che metteva tutta la classe di buonumore. Amava soprattutto le materie letterarie. E’ grazie a lei che ho capito di essere portato per la scrittura: una volta ricordo che lesse davanti a tutti un mio tema, fu una grande soddisfazione!
Cos’è cambiato nel Cinema dell’era digitale?
Non lo so, in quanto il primo film da regista l’ho girato in digitale e quindi non posso rispondere con molta cognizione di causa. Posso dire che la pellicola negli anni Sessanta, con il bianco e nero, aveva raggiunto dei livelli estetici altissimi, non ancora raggiunti dal digitale. Idem per il colore, una ventina di anni fa. Il digitale deve ancora arrivare a quella pasta “pittorica” che aveva la pellicola, quando usata al suo massimo.
Quali sono i tuoi registi riferimento?
Ho gusti molto vari: amo Fellini ma anche il cinema di Kiarostami o i maestri del cinema giapponese, Kurosawa, Mizoguchi, Ozu, poi però mi piace anche Monicelli, Germi, e la commedia all’italiana. E ancora Lubitsch, Wilder, Woody Allen, ma anche Kubrick. Diciamo che sono un cinefilo, in senso letterale: mi piace il cinema nel suo complesso.
La tua idea sui film del neorealismo…
Un periodo altissimo per la nostra cinematografia, ma credo sia più giusto parlare di un fenomeno generazionale, più che di una poetica specifica condivisa. La voglia di riprendere a raccontare storie, l’esigenza di descrivere il circostante, questo è lo spirito che credo accomuni gli autori di quel periodo e che ci ha regalato un patrimonio artistico che non ha niente da invidiare a quello che ci ha lasciato la letteratura, la pittura e la musica.
Tempo fa ho scritto un articolo sui bambini, dal titolo: il Cinema, i bambini e la Sicilia ed ho affermato: che ancora la Sicilia non ha il suo capolavoro, cosa ne pensi?
Se ti riferisci al tema dei bambini in Sicilia forse hai ragione. A memoria non mi viene in mente niente.
Qual è la grandezza del film “Il Gattopardo” e il limite stesso dell’opera realizzata in Sicilia negli anni 60 da Luchino Visconti?
Per me è un capolavoro assoluto, è un film che rasenta la perfezione. Dal mio punto di vista non riesco a vederne i limiti, ma solo i pregi.
La maggioranza degli italiani non ha visto il film: “Palermo Shooting” di Wim Wenders. Hai visto questo film?
No, non l’ho visto. Di Wenders ne ho visti molti, ma non questo.
Com’è il tuo rapporto con i giovani registi italiani? Hai mai incontrato Tornatore?
Tornatore non l’ho incontrato personalmente. Con gli altri registi della mia generazione ci sono rapporti sporadici, legati più che altro alla casualità. Magari ci si incontra ad un Festival, ma non c’è una frequentazione assidua. Credo sia dovuto al fatto che, non essendoci più i grandi teatri di posa in cui venivano girati i film, i registi non condividono più i set come avveniva un tempo. A quel punto la frequentazione avviene solo sulla base di una simpatia personale, ma qui entriamo in un discorso di amicizia che ovviamente è molto più selettivo.
Qual è il tuo pensiero sull’opera del regista di Bagheria?
Da bambino ricordo di aver pianto tantissimo sul finale di Nuovo Cinema Paradiso, che vidi due volte al cinema, prima con i miei nonni e poi con i miei genitori. Ci sono alcuni suoi film che mi piacciono di più, altri meno, però prima potevo dare un giudizio da semplice spettatore, ora che sono un regista anche io non mi permetto di dare giudizi sull’opera di un collega.
Che cos’è per te il Cinema? Da bambino hai mai pensato che un giorno avresti fatto il regista?
Il cinema per me è emozione. Che sia una risata, una lacrima, si tratta sempre di un’emozione. Per quanto riguarda il sogno nel cassetto, io da bambino volevo fare lo scrittore. E’ solo durante il liceo che ho capito che mi sarebbe piaciuto lavorare nel mondo del cinema.
Hai frequentato scuole di cinema?
No, diciamo che sono un autodidatta. Ho visto centinaia di film, da ragazzo mi ricordo che mi registravo i film che mettevano nel programma di Enrico Ghezzi su RaiTre “Fuori Orario”. E poi a Roma frequentavo qualche sala d’essai e il Palazzo Delle Esposizioni che ha sempre proiettato rassegne di grandi classici del cinema. Poi mi sono studiato qualche manuale di sceneggiatura americano. L’unica scuola di cinema che ho frequentato è stata il Corso Rai per sceneggiatori, organizzato appunto dalla Rai. Però gran parte delle cose che ho appreso sulla sceneggiatura le ho desunte dal lavoro di lettore che ho fatto alla Fandango per due anni. Leggevo le sceneggiature e scrivevo delle schede valutative (che nessuno ha mai letto, credo, perché ero davvero l’ultima ruota del carro e lo facevo su base semi volontaria). Però fare il lettore di sceneggiature scritte da altri è stata una grande palestra.
Il tuo ultimo lavoro si intitola: “Il Tuttofare”, la critica ha scritto ottime recensioni, una in particolare mi ha colpito. Hanno scritto è una commedia che fa un graffiante ritratto dei giovani precari di oggi e che sarebbe stato apprezzato anche dai Maestri della Commedia italiana come Mario Monicelli e Dino Risi. Sei d’accordo?
Più che essere d’accordo, posso dire di essere onorato anche solo per l’accostamento. Mi fa piacere sia stato colto questo tentativo di riallacciarmi a quella tradizione che trovo quanto mai attuale. Il mio punto di vista sulla situazione italiana è molto critico, ma per come sono fatto preferisco riderne che piangerne. E la commedia italiana tentava di fare questo.
Qual è il messaggio che avresti voluto dare al pubblico con questo film?
Il film parla di una proposta indecente, quindi il messaggio potrebbe essere questo: diffidare dei cattivi maestri, soprattutto di quelli che predicano bene in pubblico e razzolano male in privato.
Come sono i giovani di oggi subiscono i ricatti morali da parte di generazioni vecchie e stantie, non avranno mai uno straccio di pensione e devono adattarsi a fare le cose impossibili per vivere nel nostro Bel Paese come succede al giovane avvocato interpretato in maniera eccezionale da Guglielmo Poggi che deve alzarsi presto al mattino, comprare il pesce, cucinare gli scialatelli fatti a mano, sposare donne che necessitano della cittadinanza e subire situazioni di violenza imbarazzanti e non previste…
Io vedo nelle nuovi generazioni una scarsa indignazione per le condizioni della nostra società. Forse c’è anche poca consapevolezza di quanto si sia sperperato negli ultimi 30 anni. E’ come se un giovane ventenne desse per scontato che dovrà fare lo schiavo di qualche potente per ritagliarsi un posticino nella società. C’è molta disillusione, questo però non vuol dire che non possano migliorare le cose, sta solo a loro.
Tra i tuoi lavori ho letto: Oggi si gira così, Gianni e le donne, Smetto quando voglio. Ti senti più un regista o uno sceneggiatore?
Sceneggiatore. Perché ho scritto più cose, però l’esperienza da regista mi è piaciuta molto, soprattutto la direzione degli attori.
Sinceramente come hai fatto a dirigere un grande attore come Sergio Castellitto, uno dei miei attori preferiti? Puoi raccontare qualche nota curiosa vissuta nel set?
Castellitto si è convinto a fare il film leggendo la sceneggiatura. Poi ci siamo incontrati e mentre io provavo a descrivergli come immaginavo il suo personaggio lui si è alzato e mi ha improvvisato il dialogo della scena in cui il professore, parlando di meritocrazia, si fa allacciare le scarpe dai suoi schiavi all’università. Insomma aveva capito tutto, fin dalla lettura. Quindi è stato molto più semplice di quello che potessi pensare. Ho tratto anche un grande insegnamento: è molto più facile dirigere un grande attore che un attore scarso. Al primo non devi dire quasi niente, giusto un paio di indicazioni e la scena è perfetta, anzi meglio di come l’avevi scritta, perché il grande attore arricchisce sempre un testo scritto, interpretandolo e facendolo suo. L’attore scarso purtroppo oltre un certo livello non può arrivare e la scena risulterà mediocre.
Cosa pensi sinceramente degli avvocati? Prima o poi scriverò un libro sugli avvocati siciliani. Da tempo penso questa cosa… E vedendo il film ho avuto un lampo…
In realtà sono figlio di avvocato, quindi non ne penso né bene né male, così come non penso né bene né male di altre categorie lavorative. La storia poteva essere ambientata nel mondo della medicina, anche lì gli assistenti di un primario possono essere schiavizzati, oppure nel mondo dell’architettura, nel mondo della politica, ma anche un commesso può essere usato come tuttofare dal titolare del negozio. Dove c’è un potente c’è uno schiavo, talvolta un vero proprio stuolo di schiavi.
Di te mi ha colpito una cosa precisa che ho scoperto svolgendo una ricerca. Ho letto che sei l’unico regista in italia che prima, durante e dopo le riprese abbraccia affettuosamente tutti gli attori. E’ vero?
Non so cosa facciano gli altri colleghi, però tra il regista e l’attore secondo me si deve creare un’alchimia, una complicità. L’abbraccio a me veniva naturale, era un modo per ringraziarli!
Cosa pensi delle mafie presenti in Italia?
Tutto il peggio possibile.
Quali sono le difficoltà che incontri nel tuo lavoro?
Fare un film è ogni volta una grande impresa, soprattutto i film per il cinema. Però poi quando ci riesci e qualcuno ti dice che il risultato non è poi così male…è una grande soddisfazione.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Voglio provare a fare un altro film per il cinema e l’idea ce l’ho già abbastanza chiara in testa. Però questa volta mi piacerebbe provare a partecipare a qualche festival, in modo che il film possa essere visto anche da un pubblico internazionale. E’ molto difficile, ma credo sia l’unico modo per dare un futuro alla distribuzione nelle sale: un film che si rivolga al solo pubblico italiano purtroppo diventa sempre meno sostenibile dal punto di vista economico.