E che finalmente siano cadute le fette di prosciutto che i politici hanno tenuto sugli occhi è facile accorgersene leggendo la deliberazione della Giunta regionale n. 80 del 27 febbraio 2019, compresi gli allegati dell’assessore all’Energia e servizi di pubblica utilità, Alberto Pierabon, e del dirigente generale del medesimo Dipartimento, Salvatore Cocina, quando netta è la percezione della fonte dei danni economici arrecati ai contribuenti siciliani e la colpa dei disservizi idrici e della depurazione.
Il colpevole, senza beneficio dell’appello, è la politica regionale, e a catena quella territoriale con sindaci che hanno continuamente disatteso direttive, circolari, norme in materia di servizio idrico, fognario e depurazione.
Le regole le ha dettate e le detta la Regione, poi recepite dalle amministrazioni locali e dagli Ambiti territoriali e calate nella gestione del servizio. Ognuno avrebbe dovuto recitare con diligenza il proprio ruolo, i fatti ci dicono, invece, che le cose sono andate diversamente. L’utente e la sua piena soddisfazione non sono stati al centro dell’interesse della politica.
Ora mettiamo da parte la gestione del servizio idrico che tutti conosciamo non essere stata mai adeguata e occupiamoci dei controllori, dei rappresentanti del popolo e dell’utenza. Gli effetti dei disservizi sono stati una sorta di diversivo per nascondere altre pesanti responsabilità che adesso, piano, piano, stanno prendendo forma, dagli Ati alla Regione passando dai vari governi e le varie legislature dell’Ars.
LA REGIONE ADESSO HA PREMURA DI METTERE A REGIME IL SISTEMA IDRICO E FOGNARIO SICILIANO. Come mai? La Sicilia è destinataria di infrazioni milionarie da parte della Comunità europea. Inoltre, rischia di perdere milioni e milioni di euro di finanziamento per il rifacimento e potenziamento delle reti idriche e fognarie e per la depurazione. Perdere i finanziamenti (anche per colpa di sindaci incoscienti) sarebbe una catastrofe per la nostra Sicilia. Non presenterebbe più l’occasione per ammodernare le reti colabrodo. Per la depurazione, sarebbe un colpo mortale all’ambiente. Adesso la Regione si è svegliata (grazie anche all’assessore Pierobon, vero esperto in materia) e pressa le Ati, diffida i sindaci, annuncia attività sostitutive, ossia manda i commissari ad acta al posto di sindaci o organismi apicali delle Ati.
Nella delibera sopra citata, si legge: “il processo di riforma del Servizio Idrico Integrato sconta nella nostra Regione gravi ritardi legati ad una serie di fattori concomitanti, sia sul piano normativo (gravi ritardi delle leggi regionali di settore) che su quello amministrativo (mancato avvio degli Organi di governo, mancata redazione dei Piani di Ambito, mancato espletamento delle procedure per l’affidamento al gestore unico, mancata tariffazione regolare, mancata consegna delle reti e risorse idriche).” Ritardi che “si riflettono sull’Azione dell’Amministrazione regionale, andando ad interferire con le procedure di finanziamento/realizzazione degli interventi infrastrutturali”.
Ritardi accumulati per svariati motivi, tra cui la pretesa del Governo Crocetta di assumere competenze nella materia idrica e fognaria che sono dello Stato. Varò la legge regionale n. 19 11 agosto 2015, con l’approvazione dell’Ars,. Poi impugnata dal Consiglio dei Ministri e poi resa, in vari punti, anticostituzionale con sentenza n. 93/2017 della Suprema Corte. Tra i punti cassati, anche quella sorta di “sanatoria” per i cosiddetti Comuni “ribelli”, cioè quelli che non hanno consegnato le reti e le risorse al gestore, creando disparità di tariffe e buttando al macero l’unicità della gestione per ogni ambito provinciale.
LA RIFORMA DEL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO, IN ITALIA, E’ STATA VARATA CON LA LEGGE N. 36/1994 (Legge Galli). IN SICILIA SIAMO AL PASSO. Mentre in Italia il Servizio Idrico Integrato è entrato a regime da decenni, in Sicilia, ancora oggi, la riforma è monca, non decollata. Anzi, impantanata. La Regione siciliana recepisce la legge Galli solo nel 1999, con l’articolo 69 della Legge Regionale 10/1999. Già un ritardo di 5 anni solo per recepire una legge nazionale. I 9 ATO siciliani vengono individuati con D.P.Reg. n. 114 del 16 maggio 2000.
L’abolizione degli ATO con la nascita delle ATI avviene con l’entrata in vigore della Legge regionale n. 11 del 12 maggio 2010, articolo 49. Sono trascorsi 16 anni dalla legge Galli. E ancora il servizio idrico integrato in Sicilia fa “acqua” da tutte le parti. Basta pensare che la politica siciliana (i nostri onorevoli legislatori) pone in liquidazione gli ATO con apposita legge regionale n. 2 del 9 gennaio 2013. In buona sostanza, “la riforma è stata emanata due anni e mezzo dopo, con la Legge regionale n. 19 dell’11 agosto 2015. Dalla legge Galli sono trascorsi 21 anni. E ancora il cerchio non si è chiuso.
IN SICILIA LA FATISCENZA DELLE RETI FA DISPERDERE OLTRE IL 45% DELL’ACQUA.Nella relazione del dirigente generale Cocina viene evidenziato che la conseguenza dei ritardi incide “sulla mancata o ritardata realizzazione di reti, impianti, indispensabili a garantire un efficace sistema di raccolta/distribuzione della risorsa idrica e un efficiente sistema di collettamento/depurazione dei reflui, in un contesto di omissioni/inadempienze che si sono stratificate nel tempo ed hanno causato, e continuano ancora oggi a determinare, disservizi per la cittadinanza e, soprattutto, pregiudizi per l’ambiente”. Cocina continua. “La distribuzione della risorsa idrica, l’attuale sistema risulta caratterizzato da mala gestio con sprechi per perdite varie i cui costi vengono scaricati sulle imprese e sui singoli cittadini e sul pubblico erario”.
“Negli ultimi 10 anni- continua Cocina- la dispersione delle reti idriche in Sicilia è passata dal 36% al oltre il 45%, con punte (localmente) anche superiori all’80%, a fronte di costi della risorsa che in media sono tra i più alti d’Italia”.
La Sicilia, per la sua quota (quella dei cittadini) a, e anche causa delle infrazioni comunitarie per il sistema di depurazione paga 97 mila euro al giorno.
DISORDINE GESTIONALE E TARIFFARIO. IL CASO DEI “RIBELLI”. Scrive Cocina nella sua relazione allegata alla determina della Giunta regionale: “Ambiti gestiti localmente e in modo frazionato da diversi operatori pubblici e privati, con diverse tariffe e privi di determinazione tariffaria unica e di idonei standard qualitativi. Reti non interamente trasferite dai Comuni al gestore”. E qui si fa riferimento all’ATI di Agrigento e anche Enna”. Tra l’altro aggiunge, citando la sentenza della Corte Costituzionale del 2017 che ha cassato diversi articoli della Legge regionale 19/2015, che non è possibile “la gestione diretta del servizio da parte dei Comuni e di diversi gestori nel medesimo Ambito.”
L’ATI DI AGRIGENTO DIFFIDATA. DEVE AGGIORNARE IL PIANO D’AMBITO E FARSI CONSEGNARE LE RETI DAI “RIBELLI”. LA REGIONE: O TI MUOVI O TI INVIO IL COMMISSARIO.
L’ATI di Agrigento è messa meno peggio rispetto alle altre. Ma è diffidata per aggiornare il Piano d’Ambito. Inoltre deve chiudere, subito, la vicenda dei 16 Comuni non consegnatari delle reti e impianti. Scrive Cocina: “si propone, al fine di rimuovere le resistenze che bloccano il percorso di revisione della governance del Sistema Idrico Integrato, di diffidare i Comuni che non hanno consegnato reti e impianti al gestore unico”. Il tempo è di 60 giorni, scaduti i quali bisogna “avviare le procedure sostitutive”. Cioè arrivano i commissari. L’ATI di Agrigento deve, inoltre, trovare la soluzione per la gestione del Servizio Idrico Integrato dopo la rescissione contrattuale con Girgenti Acque.