Il 15 maggio 1946 Umberto II°, re d’Italia, promulga lo Statuto della Regione Siciliana. Il 20 giugno del 1947 si svolgono le prime elezioni del Parlamento Siciliano.
Il Blocco del Popolo, formato da socialisti e comunisti ottiene una sorprendente vittoria con il 30% dei voti, superando di gran lunga la Democrazia Cristiana che resta ferma al 20%. Sul piano storico, in Sicilia si registra una inversione di tendenza rispetto alle elezioni dell’Assemblea Costituente del 2 giugno 1946. La DC passa dal 33% al 20%, il Blocco del Popolo balza dal 20% al 30% ottenendo 29 seggi contro i 20 seggi dei democristiani. Va notato che il Movimento per l’Indipedenza della Sicilia, pur avendo perso la carica emotiva del Separatismo a seguito della concessione dell’Autonomia, ottiene un poco soddisfacente risultato con appena 9 deputati eletti (solo qualche anno prima il Movimento Separatista contava su oltre 500.000 iscritti).
La prima mossa per la formazione del primo governo regionale toccava dunque al partito di maggioranza relativa. Ma gli agrari e i latifondisti che temevano le forze di sinistra decisero di passare al contrattacco chiamando a raccolta la mafia del tempo per rendere vana la vittoria del Blocco e le conseguenti occupazioni delle terre da parte dei contadini. La forza del governo nazionale, le pressioni degli Stati Uniti che avevano già consegnato il “famoso assegno” a De Gasperi in cambio dell’estromissione dei comunisti e socialisti dall’esecutivo e, non ultimo, il rispetto del trattato di Jalta, fecero nascere il governo minoritario e monocolore del democristiano Giuseppe Alessi.
Tutto questo si concretizzò il primo maggio del 1947, a Portella della Ginestra. Duemila contadini si diedero appuntamento per festeggiare la vittoria elettorale sul pianoro che sovrasta i paesini di Piana degli Albanesi, San Cipirello e San Giuseppe Jato, ma la gran parte erano di Piana. Salirono a piedi o sui muli che tiravano i carretti. Ciascuno portava quel che poteva, vino, carne, uova, pane: era una festa, la festa dei lavoratori che finalmente sognavano ad occhi aperti un futuro migliore. E poi a parlare dal podio del sasso di Barbato ci doveva essere Girolamo Li Causi, capo carismatico dei comunisti siciliani. La presenza di Li Causi determinò l’arrivo di Salvatore Giuliano e altri undici della sua cosiddetta banda.
Giuliano aveva un conto in sospeso con l’onorevole e si piazzò a circa cento metri su uno dei due altipiani che abbracciano il pianoro, il monte Pizzuta. La distanza dal luogo dell’oratore era di 4 o 500 metri, tant’è che usò il binocolo per rendersi conto della situazione. In pratica si trovava alle spalle del podio e verosimilmente la gente era sparsa ancora più lontana. Verso le dieci del mattino vide un uomo salire sul sasso di Barbato per cominciare il comizio di benvenuto. A quel punto ordinò ai suoi di sparare in aria.
Parecchi testimoni pensarono trattarsi di mortaretti: nessuno ci fece caso. Giuliano decise allora di far abbassare le canne in modo che i proiettili sibilassero a circa venti metri dalle teste. Quello fu il momento cruciale. Uditi gli spari da vicino, molti cominciarono a guardare verso il monte Pizzuta, compreso l’oratore. Col suo binocolo Giuliano si accorse che a parlare non era Li Causi, era Giacomo Schirò, calzolaio e socialista di San Giuseppe Jato spinto sul podio alla notizia che l’ospite non sarebbe arrivato. Decide allora di abbandonare la postazione e andare via, ma all’improvviso succede l’inferno.
Le armi cominciano a colpire la folla inerme e innocente, bambini donne, uomini cadono a terra in pozze di sangue. Anche gli animali vengono abbattuti. Un turbinio di proiettili si abbatte senza pietà su persone indifese. Salvatore Giuliano è lì e non riesce a capacitarsi: è possibile che i suoi uomini non abbiano ubbidito ai suoi ordini? Qualcuno lo sente gridare: “Disgraziati, che state facendo?” Ma lui ancora non sa in quale tranello fosse caduto. Non sa che gli undici morti e i ventisette feriti rimasti a terra sono opera di altri punti di fuoco. Non sa ancora di essere caduto in una trappola. Lo storico Professor Giuseppe Casarrubea e la famiglia Giuliano almeno su questo fatto sembrano essere concordi. Quella fu una strage pianificata da pezzi dello Stato, dai servizi americani, dai mafiosi amici degli agrari e soprattutto da quel Salvatore Ferreri, detto Fra’ Diavolo, componente della banda Giuliano, ma al soldo dell’Ispettore Ettore Messana. (Continua)
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By pino.sciume4 Minuti di lettura