Mai popolo più tradito dei favaresi. Tradito e fottuto anche dalla sua stessa classe politica.
L’uccisione del piccolo Stefano Pompeo portò tutta la città in piazza a protestare contro la mafia montagna di merda che non ha rispetto per la vita, che spara per affermarsi senza farsi scrupolo alcuno.
Fiaccolate e cortei davvero sentiti e partecipati da tantissimi cittadini che commossi, indignati si strinsero intorno ai familiari della piccola innocente vittima della criminalità organizzata.
Favara chiese a gran voce la legalità, l’affermazione dello Stato. Dopo quasi due decenni, il grande messaggio della gente è stato tradito, principalmente da una parte della stessa politica locale, quella famelica, egoista, distruttiva, incapace che ha assediato e incatenato la parte virtuosa. I favaresi chiesero e aspettano ancora il controllo del territorio per affermare la legge, che non è contro nessuno e non si applica a discrezione. Non hanno chiesto di chiudere un occhio, di favorire attraverso i compromessi, attraverso le astuzie e stranissime strategie che nella forma rispettano la legge, mentre nella sostanza fottono, senza dignità, i cittadini.
Al momento, la festa della legalità sta sollevando il fatto grave della villetta dedicata a Stefano Pompeo chiusa da tempo. Una paradossale contraddizione cittadina, che da un lato intitola il luogo pubblico alla innocente vittima della mafia e dall’altro la tiene chiusa, quando le giustificazione non valgono nulla. Anzi, hanno un solo nome: incapacità.
Il giardino pubblico Stefano Pompeo è, intanto, la punta dell’iceberg.
Ora noi favaresi difficilmente torneremo a riempire i cortei e le manifestazioni, ormai delusi e disillusi, ma crediamo ancora fortemente e allo stesso modo attendiamo la legalità, principale nodo da sciogliere per il nostro progresso e per il miglioramento della qualità di vita. Dovremmo convincerci sul singolo ruolo di ognuno di noi, fermo restando che spetta al Palazzo decidere le regole e a farle rispettare. Il cittadino non può, gli viene vietato dalla stessa legge, sostituirsi allo Stato, quest’ultimo, dunque, non può assolutamente assentarsi, essere latitante. Al Palazzo chiediamo la normalità, non i miracoli promessi in campagna elettorale. Chiediamo l’ordinario, che non può esserci negato perché è pagato con i nostri soldi, spesso frutto di grandi sacrifici.
La vera lotta per la legalità si fa garantendo almeno l’ordinario, viceversa, anche involontariamente, si favorisce il malaffare. E il non riuscire a dare l’ordinario si traduce con una sola parola: fallimento. A tutti può capitare nella vita di vedersi fallire un proprio proposito, in questi casi ci comportiamo di conseguenza, specie quando sono in gioco grandi interessi a fronte di gravi problemi. Oppure possiamo avere un sussulto di orgoglio capace di invertire la rotta e arrivare al successo. Sarebbe bello, grazie alla festa della legalità, che arrivasse il grande sussulto d’orgoglio da parte di tutti.