Dal Vangelo secondo Giovanni In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».
Tutto sta nel capire cosa significa la parola amore. Attorno a questa parola c’è molta confusione.
Amare per Gesù è osservare, ascoltare, donare, accogliere per essere dimora, abitazione di Dio.
In siciliano, il verbo ascoltare ha una doppia funzione. Una mamma quando si china verso il proprio bambino e gli raccomanda di ascoltare, sostanzialmente sta indicando due azioni: udire e ubbidire. Quante volte abbiamo ascoltato dai nostri genitori o da chi veramente tiene a noi “se mi vuoi bene ascoltami”, cioè, metti in pratica ciò che ti sto dicendo.
Chi ama veramente si conforma all’amato. Chi ama, fa suo il modo di pensare e di agire dell’amato.
Non possiamo dirci cristiani se poi chiudiamo il cuore ai fratelli, non possiamo dirci cristiani solo perché andiamo a messa, o perché siamo zelanti a difendere crocifissi e a mostrare rosari. Gesù è chiaro “Se uno mi ama, osserverà la mia parola”
Una Parola che ci invita ad amare il nemico, che ci invita ad accogliere lo straniero, che ci invita a rinnegare il proprio io per fare spazio all’altro, che appartiene a questa grande famiglia dei figli di Dio… e che è mio fratello.
Il cristiano è per l’apertura e mai per la chiusura. Chi si chiude all’altro non è relazione e quindi non può assolutamente dirsi cristiano per Dio è relazione.
Ma come si fa a consacrarsi al Signore o al Cuore immacolato di Maria e poi chiudere il proprio cuore alle sofferenze e necessità dei fratelli?
Tutto questo non ha nulla a che vedere con ciò che Gesù sta dicendo a noi oggi tramite la sua Parola. Non ha nulla a che vedere con la fede in Lui.
Se amiamo diventiamo sua dimora, diventiamo porto accogliente.
Quando Francesco d’Assisi chiede al Crocifisso di San Damiano cosa deve fare, sente una voce che lo esorta a riparare la casa che va in rovina. Sappiamo che Francesco inizia a restaurare le chiese di Assisi, non capendo che la prima casa da restaurare era proprio lui. Francesco non fonda un centro per i lebbrosi, ma diventa lui casa d’accoglienza per ogni fratello che necessita di essere amato, curato… ascoltato.
Siamo invitati a essere non più un mono vano ma centro d’accoglienza per tutti, una dimora Trinitaria, dove la logica dello scarto sia nei confronti dell’odio, dell’egoismo e della paura del diverso.
Fin quando non capiamo che chi bussa alla nostra porta è Cristo, noi andremo dietro ai mercenari di parole rifiutando la Parola che è proprio Gesù.
La relazione che Dio predilige è fondata sulla sua Parola, Cristo, Pietra angolare dove appoggiare le fondamenta della nostra dimora per evitare di costruire sulla sabbia.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
La pace di Gesù nasce dall’amore, e fiorisce nella gioia. La pace non è l’intervallo fra due guerre e non è neanche la cosiddetta pax Romana, così come non è la pace dello stoico, che resta impavido anche se il mondo gli crolla addosso.
Pace non significa farsi gli affari propri assumendo un atteggiamento omertoso.
Gesù lo dice a chiare lettere “Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore”
La pace che Gesù vuole nasce dall’amore che è difesa e custodia di chi subisce ingiustizie.
La pace, infatti, è fondata sulla croce.
Vogli lasciarvi con le parole di un grande Vescovo, Don Tonino Bello: “La pace deve continuamente tenere i conti aperti. Con la stoltezza della croce che provoca il sorriso dei dotti. Con la debolezza della Parola di Dio che suscita le preoccupazioni dei prudenti […]. “In hoc signo vinces”. Con questo segno: quello della fede, che poi diventa, necessariamente, quello della croce con tutta la sua carica di assurdo. È la croce che ci insegna come amare i nemici. Una croce da prendere per il braccio lungo, come fece Gesù, e non da impugnare per il braccio corto, come abbiamo fatto noi, usandola a guisa di spada che ferisce e uccide [… ] In ultima analisi, la pace non è tanto un valore da promuovere, ma una persona da seguire: la stessa persona di Gesù.”