Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
Gesù affida il suo messaggio a degli uomini che al momento della sua cattura sono scappati via e due di loro lo hanno uno tradito e l’altro rinnegato.
Eppure è ad undici persone fragili, ignoranti, che affida il Vangelo. Sapete perché? Perché sanno ascoltare, perché sanno aprire il loro cuore alla novità che è proprio Gesù: affida a loro la testimonianza del Vangelo perché sanno amare. I discepoli hanno avuto paura, ma non sono rimasti chiusi in essa, hanno avuto la capacità di uscire dai loro schemi, si sono fidati di Cristo Risorto, delle sue promesse.
Raccomanda di rimanere in città, cioè a Gerusalemme, lì riceveranno lo Spirito Santo.
Gerusalemme, luogo dove vengono uccisi i profeti, dove è stato ucciso anche lui.
Ricordate i discepoli di Emmaus che scappavano da Gerusalemme per paura di essere anche loro presi e sottoposti alla stessa sorte del Maestro di Nazareth?
Ora sono ai suoi piedi, lo ascoltano ancora una volta prima di salire al cielo.
Sono stati quaranta giorni intensi dopo la resurrezione, lo hanno avuto con loro, purtroppo però è giunto il momento del distacco. La consapevolezza che chi parte comunque rimane sempre con noi, dovrebbe attutire la nostra tristezza. Il testo odierno ci dice che i discepoli tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
Uomini di Galilea, perché continuate a guardare il cielo? Perché piangi, anima mia, perché su di me gemi? Perché cercate fra i morti uno che è vivo?
Non possiamo rimanere a pensare ciò che è stato. Siamo chiamati ad alzarci a lasciare lì il sudario che indica si morte, ma anche resurrezione, e correre per andare oltre e testimoniare la gioia del risorto.
Gesù raccomanda ad ogni battezzato di testimoniare a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme, cioè dal luogo dove dimoriamo e dove Egli vive in mezzo a noi.
È davvero bello e ci riempie di speranza sapere che Cristo vive nei nostri paesi, nelle nostre città, nelle nostre borgate, “Io sono con voi sino alla fine dei tempi”. Lo possiamo cercare là dove ha deciso, per sempre, di abitare: in mezzo ai fratelli più poveri, in mezzo alla comunità di coloro che credono nel Nazareno.
Credere in Cristo significa saperlo riconoscere nei fratelli. Non possiamo stare a guardare il cielo per vedere qualcosa di meraviglioso, perché se abbassi lo sguardo e lo porti ad altezza d’uomo ti accorgi del sorriso del tuo collega che ti sta sulla punta del naso, dello sguardo luminoso di Alì che vuole venderti una rosa, dell’abbraccio che si danno due innamorati sulla panchina della piazza, ti accorgi della presenza di Dio nei luoghi dove cammini… dove vivi. È li nella tua “Gerusalemme” in quella porzione di terra dove non vorresti vivere, da dove vorresti scappare che devi testimoniare la tua fede, la tua coerenza, la tua appartenenza a Cristo. La fonte dove lo Spirito Santo suggerisce il nostro agire è l’ascolto della Parola di Dio, sono i Sacramenti, la Preghiera, la relazione con i fratelli.
“Ora è il tempo di costruire relazioni e rapporti a partire dal sogno di Dio che è la Chiesa: comunità di fratelli e sorelle radunati nella tenerezza e nella franchezza nel Vangelo. Accogliamo allora l’invito degli angeli: smettiamola di guardare tra le nuvole cercando il barlume della gloria di Dio e – piuttosto – vediamo questa gloria disseminata nella quotidianità di ciò che siamo e viviamo” (Curtaz)
Il Cristianesimo è incontro, è relazione, è donazione, è accoglienza. Restiamo in città, nella nostra città, non fuggiamo la disperante banalità dell’oggi, perché è lì che Gesù sceglie di abitare: nell’oggi, nel delirio confuso della mia città. Nella stazione dove molti vivono nei binari, nei centri storici, nelle periferie…
Cerchiamo Dio, ora, nella gloria del Tempio che è l’uomo, tempio del Dio vivente, smettiamola di guardare le nuvole, se Dio è nel volto povero e teso del fratello che incrocio. Abbracciamolo, accogliamolo, non facciamoci scappare l’occasione di testimoniare che Cristo è gioia di amare liberamente.
Ascendiamo anche noi insieme a Cristo: smettiamola di fare i bambini devoti agitando crocifissi e rosari. Dio in questo momento particolare dove l’odio sembra prevalere sull’amore e sulla ragione, ha bisogno di discepoli adulti, capaci di far vibrare il Vangelo nella vita, capaci di dire la fede in modo nuovo e soprattutto in un modo vero.