Con una lunga e pesante lettera pubblicata su Facebook, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte scrive a Matteo Salvini. Sul tema migranti, il presidente Conte politicamente lancia un segnale quasi di tolleranza e minore rigidità rispetto ai mesi precedenti, quando tutto il governo all’unisono ha preso posizione; oggi invece, siamo quasi in una una sorta di ripicca politica per mettere in difficoltà Matteo Salvini, proprio nella settimana in cui gli attivisti del web hanno sfoderato tutto il meglio, riproponendo il Salvini nordista, secessionista quello della prima ora, l’uomo nero, il naz-fascista. Gli stessi haters, dimenticano che sino a pochi giorni fa il M5S e la Lega, con i rispettivi capi, Di Maio e Salvini, facevano ossessionatamente l’amore come una coppia si litigiosa, ma pienamente felice.
Lo scenario oggi è cambiato, con un “atto politico” ed una sentenza “lampo” del presidente del Tar Lazio, a seguito del ricorso n. R.G. 10780/2019, presentato il 13 agosto e strano a dirsi definito l’indomani, con la sospensione del divieto d’ingresso nelle acque territoriali italiane della Open Arms
Salvini replica alla lettera aperta di Conte, affermando che “con me i porti sono e rimarranno CHIUSI ai trafficanti e ai loro complici stranieri. Ed è chiaro che, senza questa fermezza, l’Unione Europea non avrebbe mai mosso un dito, lasciando l’Italia e gli Italiani soli come ha fatto negli anni dei governi di Renzi e del Pd“. Una nave straniera in acque internazionali non si capisce che attinenza abbia con l’Italia. A che titolo chiede l’intervento alle autorità italiane? Qual è la ratio della domanda e della risposta? in silenzio abbiamo fatto scendere chi aveva necessità, senza letterine. Conte ha fatto uno sfogo umorale io devo rispondere con le leggi: per questo è partita dal Viminale una lettera in punta di diritto”.
Per alcuni giuristi, il ricorso è inammissibile! In tal senso è di fondamentale importanza rinvenire una nozione chiara di atto politico, attesa l’insindacabilità di quest’ultimo. In base all’art. 7, comma 1, c.p.a. “non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico”. Tale norma afferma quindi l’insindacabilità dell’atto politico. La regola appena enunciata a qualcuno è parsa in contrasto con il disposto dell’art. 113 Cost., in base al quale “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa”. In realtà, l’insindacabilità dell’atto politico risulta pienamente giustificata, anche sul piano costituzionale, dall’esigenza di assicurare il principio di separazione dei poteri e, quindi, dalla necessità di tutelare l’inviolabile confine che separa la funzione amministrativa dalla funzione politica del Governo, quest’ultimo al contempo rappresentando il vertice della Pubblica Amministrazione ed essendo espressione del principio di democrazia. L’atto politico è, infatti, un atto libero nel fine, dal che se ne trae l’assenza di un parametro giuridico su cui effettuare un sindacato di legittimità.
Fatta questa precisione tecnica, appare evidente che politicamente il governo risulta fragile, debole, diviso, nel palese braccio di ferro Salvini vs Conte/Di Maio. Dinanzi ad una simile situazione, con diverse prese di posizioni da parte dei Ministri competenti e componenti il Governo, non si manifesta più un chiaro ed univoco indirizzo politico, che ne configuri l’insindacabilità e forse la Magistratura a dettare la linea politica e ad andare contro il Governo. Non più la netta separazione dei poteri ma la “sostituzione dei poteri”.