C’è anche un detenuto della Casa Circondariale “Pasquale Di Lorenzo” tra i premiati dell’undicesima edizione del “Premio Carlo Castelli” per la solidarietà, promosso da Società di San Vincenzo De Paoli – Federazione Nazionale Italiana e destinato ai detenuti delle carceri italiane.
Un “Riconoscimento speciale” è stato assegnato a Agatino Cristaudo, ristretto nella Casa Circondariale di Agrigento, che ha partecipato al concorso con un testo dal titolo “Se il seme non muore non può nascere a nuova vita”. “Si tratta di un’altra “storia di resilienza” – ci dice con soddisfazione la professoressa Wilma Greco – un progetto nato in seno all’agenzia Erasmus+ Indire al fine di costruire una rete di testimoni che possano trasmettere ad altri il senso di una nuova consapevolezza”. Il progetto ad Agrigento è stato portato avanti proprio dalla professoressa Greco e sposato in pieno dall’area trattamentale dell’istituto penitenziario “Petrusa” di Agrigento.
La premiazione si è svolta presso l’Istituto penale per minorenni “Nisida” di Napoli lo scorso 5 ottobre 2018. “Il Premio Carlo Castelli istituito con una sua particolare formula, quella della solidarietà nella condivisione dei premi – ci dice ancora la professoressa Greco – ha inteso offrire alle persone detenute spunti di riflessione su temi etici, diversi di anno in anno, ma tutti sempre nell’ottica della presa di coscienza e della scelta di cambiamento”. Quest’anno ha proposto il tema : “Un’altra strada era possibile, che cosa cambierei nella Società e nella mia vita”. Ai tre vincitori sono andati rispettivamente 1.000 – 800 e 600 euro, con il merito di finanziare anche un progetto di solidarietà. Infatti, in aggiunta ai premi, a nome di ciascuno dei tre vincitori sono stati devoluti, nell’ordine: 1.000 euro per finanziare la costruzione di un’aula scolastica a Bahia in Brasile; 1.000 euro per un progetto formativo e di reinserimento sociale di un giovane del Gambia affidato alla Comunità “La Collina” di Serdiana (CA); 800 euro per l’adozione a distanza di una bambina del Malawi per 5 anni.
Lo scritto di Agatino Cristaudo, unitamente a tutte le altre opere premiate è stato inserito nella raccolta dal titolo: “Alla ricerca della strada perduta”.
Di seguito vi proponiamo lo scritto “Se il seme non muore non può nascere a nuova vita” di Agatino Cristaudo.
Caro amico mio,
oggi prendo penna e carta e mi sembra di tornare alla mia giovinezza, a quando scrivevo sospirando d’amore per la mia vicina di casa, una ragazzina bella che poco si curava dei miei sospiri. È un tempo lontano, ora sono in carcere…quasi privo di un nome, un numero di cella, mentre il giro di chiave segna il tempo che passa. Mi prende una profonda nostalgia di casa, di tavola apparecchiata e pane spezzato, di quotidianità, che qui non esiste e che io non ho quasi mai avuto e mi spinge adesso, non me ne vergogno, a raccontarmi, cercando nella mia storia spiragli di vita che pure deve aver avuto un barlume di luce. Amico mio, grazie per avermi fatto comprendere qui tra queste mura che la sofferenza e il dolore, non solo miei personali ma soprattutto quelli apportati ai miei cari, hanno senso se trovo il coraggio di dire “Basta”. Basta alle menzogne a me stesso, basta alle illusioni di una vita mai vissuta. È cominciando a capire e accettare il passato, che posso fronteggiare il presente e sognare il futuro.
Mi dici che il domani è già oggi: riconoscendo gli errori commessi, il passato può insegnarmi cosa evitare, quali strade prendere e partire incontro alla vita fuori da qui. In questo senso, il domani è già oggi: oggi scelgo che domani sarò un uomo diverso, che domani sarà un giorno diverso. E allora tra queste righe ripercorro la mia vita, non per dare agli altri le colpe dei miei fallimenti, ma per sfogare l’amarezza di tante scelte sbagliate. Avrei potuto evitarle? Chissà, certo la società in questo non mi ha aiutato.
Non ho avuto una gran bella infanzia, da quello che ricordo; non per colpa di mia mamma, che anzi ha fatto di tutto per farmi crescere bene. Purtroppo, il destino, amico talvolta caro talvolta crudele, ha fatto sì che a soli 5 anni io fossi portato in un collegio insieme ai miei tre fratelli. All’inizio ero troppo piccolo per capire, ma man mano che crescevo, mi rendevo conto del grande vuoto dentro me, e della rabbia con cui avrei voluto colmarlo. Era come se mi mancasse tutto; soltanto la compagnia dei miei fratelli riusciva in parte a curare la ferita. Ancora il destino ha fatto sì che fossimo separati, e da quel momento in poi sono iniziate le ribellioni, le punizioni da parte delle suore, le prime fughe, le prime avventure. Non ero più un bambino, dentro mi sentivo già grande, perciò al termine delle scuole elementari lascio quell’inferno e ritorno da mia madre. Una santa donna, che ha cercato di farci recuperare l’affetto e il calore famigliare di cui avevamo bisogno, ma in condizioni economiche precarie, anche l’affetto ne risente.
Ho cominciato a lavorare a 12 anni in una macelleria; il lavoro mi piaceva, ma ero pur sempre un ragazzino mai stato bambino; mi legavo ad amici che poi ero costretto a lasciare insieme alla casa e al quartiere. Un continuo peregrinare che mi ha fatto finire in guai ancora più grandi: il primo arresto per un furtarello, la fuga in Germania e poi il ritorno in Sicilia, e da quel momento l’ingresso in un tunnel lungo e buio, come buio era il mio cuore in collegio lontano da mia madre. Oggi ho 44 anni, detenuto da tre, non ancora certo della pena che mi rimane da scontare. Eppure qui in carcere, tra privazione della libertà e della dignità, comprendo il valore della vita, vissuta in pienezza. Qui, nella luce fioca che penetra dalle sbarre trovo la forza per uscire dal tunnel, trovo il coraggio che non ho mai avuto, sempre in balia degli eventi, di scegliere una via piuttosto che un’altra. Sono tornato tra i banchi di scuola, qui in carcere, mi sono avvicinato alla chiesa e sento che non tutto è perduto e ho ancora tanto da dare. Si, proprio la scuola e la chiesa, istituzioni di una società che da piccolo non ha saputo darmi i giusti punti di riferimento. Forse ho solo avuto la sfortuna di trovarmi nel collegio peggiore, ma mi chiedo come sono gli altri. Oggi sento parlare in tv di “case famiglia”, e mi rallegro se bambini come lo sono stato io possono godere del calore che né io né i miei fratelli abbiamo avuto nella struttura gestita da suore dove siamo cresciuti.
Sogno una società che consideri tutti propri figli e se ne prenda cura, una società in cui i bambini e gli anziani siano tutelati, in cui a nessuna mamma vengano strappati i propri figli; una società che garantisca il diritto alla salute, al lavoro, all’istruzione, ai parchi verdi in cui giocare, al mare pulito in cui nuotare; una società accogliente per tutti, che non metta etichette (detenuto, ex detenuto, handicappato, extracomunitario, vecchio, ecc). Sogno una società in cui ognuno sappia mettersi nei panni dell’altro, in cui tutti siano consapevoli dei propri diritti e doveri, in cui tutti e ciascuno sanno che infrangere una regola o commettere un reato arreca danni a se stesso oltre he agli altri. Anch’io con il mio comportamento ho arrecato dolore: alla mia famiglia, mia moglie, le mie tre figlie; ma non è mai troppo tardi per riparare: sto pagando il mio debito con la giustizia, con me stesso e con loro. Ho aperto in me una porta, camminerò piano piano, passo dopo passo, incontrerò ostacoli che cercherò di superare, non penserò a grandi cose se non vivere ogni attimo presente con onestà e sincerità.
Basta con i grandi progetti; sarebbe bello se anche la società smettesse di farne: quasi tutti rimangono incompiuti.
Non è la piccola goccia che fa scorrere l’oceano?
Pensa, caro amico mio, se ognuno di noi compisse una buona azione al giorno…..quanti sono gli abitanti di tutto il mondo? 8, 9, 10 miliardi? Pensa a 10 miliardi di buone azioni. Che tutti fanno subito, senza rimandare! La mia buona azione di oggi è stata proprio quella di scriverti, sperando che questa mia lettera prenda il volo e raggiunga i tanti ragazzi che non sapendo cosa fare della propria vita, o non sapendo come superare le avversità, finiscono in carcere. Metto la mia storia a disposizione di chi nel dubbio non sa che strada prendere e sceglie le opportunità più comode, senza pensare che “se il seme non muore, non può nascere a vita nuova.”
Il mio nome è A. e sono nato OGGI!