Si racconta che una zingara (ma chissà quante erano e sono) cercava di sbarcare il lunario tentando di “leggere” la mano a qualche passante che ricambiava il servizio con qualche soldo. Quella sera in paese tanti giovanotti, allora rigidamente alla moda con coppola, giacca stinta di velluto, pantaloni e scarpe di fortuna, si ritrovarono al solito posto sotto un lampione che faceva le veci della luna scomparsa dall’altra parte del mondo.
Nonostante la giovane età, la voglia di parlare era poca, ma alla fine il più coraggioso si decise a raccontare la novità della giornata: l’incontro con la zingara. <<Sapete, io non volevo, ma lei insisteva, insisteva così tanto… “fammi vedere la tua mano, quella sinistra e ti leggerò il futuro…” e in un attimo cominciò a studiare le linee della mia mano… “troverai una bellissima femmina che ti farà felice, vedi questa curva… non sarai solo, avrai bambini”. Io cominciai ad essere interessato, ma ciò che volevo sapere… niente, lei parlava, parlava. Ad un tratto mi presi d’animo e le domandai: ma la vita mia come sarà? Guarda bene, cambieranno le cose? Insomma… un lavoro, lo vedi un lavoro per me? La zingara si fermò di botto. Studiava la mano e mi guardava negli occhi e io aspettavo. Mi chiese: “quanti anni hai”? Io subito: ventinove. “Sai, mi disse, tu sarai scarso e anche un poco triste, ma fino a quarant’anni”. Ed io: ma dopo mi cambierà la fortuna? “Certo che cambierà, ti finirà la tristezza e troverai la tua pace”. Tirai un sospiro di sollievo: ma dimmi, dopo, come cambierà la mia ventura? DOPO averle dato qualcosa, la zingara si fece rigida, mi lasciò la mano e lentamente sentenziò: “aspetta i quarant’anni, poi ci farai l’abitudine e non ci penserai più”>>.
Gli altri andarono subito a casa. Ognuno aveva avuto la stessa risposta.
Questa storiella si raccontava spesso dalle nostre parti. E’ vero, da allora è passato tanto tempo, anni, decenni e diverse generazioni.
Continuiamo a trascinarci addosso un’assurda rassegnazione e non ci accorgiamo che i tempi cambiano e noi siamo sempre qui a lamentarci. Come quel gruppo di giovanotti in coppola e giacca di velluto ripetiamo lo stesso copione. Nessuno ha ammesso di essere stato preso in giro, ma zitto, zitto, ognuno se ne tornò a casa. Chi ne uscì rafforzata? La zingara, capace di carpire il bisogno di quei poveri disgraziati sulle cui spalle sbarcava il lunario.
Basta accendere la tv, anche solo per qualche minuto: mentre nei vari Porta a Porta, Ballarò, Matrix, Servizio Pubblico si discute e si parla fino alla noia, le agenzie battono notizie che ci danno la fotografia del nostro disinteresse: sette milioni di disoccupati, gli scandali dell’Expo a Milano, del Mose a Venezia, dell’Ilva a Taranto, dei Grandi Eventi in Sicilia, delle commistioni politiche/grandi opere/malaffare/clandestini/associazioni a delinquere. Tutto in nome del dio denaro sottratto ai pensionati, ai piccoli risparmiatori, persino a chi non ne ha.
I problemi locali sono importanti, ma non sarà un sindaco o un consiglio comunale a risolvere i veri problemi di questa società e dei nostri giovani.
“È facile dire non perdete la speranza, ebbene io vi dico: non lasciatevi rubare la speranza, che è come la brace sotto la cenere, aiutiamoci soffiando insieme, perché il fuoco venga”. Papa Francesco si è rivolto con queste parole ai lavoratori delle aziende in crisi. “Questo – ha spiegato – non è ottimismo: la speranza, lo sappiamo tutti, dobbiamo sostenerla tutti insieme, è una cosa nostra e vostra”. “La mancanza di lavoro – ha sottolineato il Santo Padre – non è un problema della Sardegna, anche se è forte qui, ma è la conseguenza di una scelta mondiale, di un sistema economico che porta a questa tragedia, un sistema economico che ha al centro un idolo che si chiama denaro”.
(Papa Francesco agli operai del Sulcis in Sardegna il 22/09/2013)
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Il lavoro che non c'è – Zingara, non rubarci la speranza
By joseph.zambito4 Minuti di lettura
1 commento
Pino, mi fa piacere rileggerti. Ecco, vorrei chiederti, per il nome proprio di quella speranza da non perdere, di scrivere di più. Le tue parole sono state e saranno sempre puntuali, sono lo specchio di noi lettori che sentiamo dentro e che con te apprendono quei ragionamenti impregnati d’una speranza che ci appartiene e che dev’essere sorretta da tutti.
Con stima
Massimo Centineo