“..Un saio steso in un campo sotto il sole..” Lo spot di un noto marchio per il bucato? No, bensì “il frutto della fatica e del lavoro dell’uomo”.
Vi racconto l’antefatto. Stamane a darmi il “buongiorno” è stata una gioiosa chiamata e sempre gradita, di Fra Giuseppe che mi informa sull’inizio dei lavori nei campi che, grazie alla generosità di alcuni amici fedeli, ha ricevuto in comodato d’uso.
Appena arrivato sul posto non trovo il freddo lavoro effettuato da “operai” ancor più stranieri, ma la semplicità di un gruppo che approfitta di ogni situazione per essere famiglia, per conoscersi, per condividere e sperimentare che nonostante le diversità di colore, lingua, razza e religione siamo dei giovani, uguali, con i sogni e la voglia di vivere che troviamo in ognuno di noi. È bello poter usare il verbo essere, perché la Tenda del Padre Abramo non è un luogo circoscritto sito nella collina belvedere di Favara appartenente agli inquilini del convento, la Tenda di Abramo è ognuno di noi e ne facciamo parte nella misura in cui siamo disposti a spenderci per l’altro, a metterci in gioco, a “sprecare” il nostro tempo arricchendoci della grandiosità di potere toccare con mano che la “diversità” non esiste.
A compiere i lavori nel campo non è stata la fatica di Dominique, il sudore di Alì Zamin, la stanchezza di Tjani e Bafò, né il sacrificio di Fra Giuseppe, stamattina i lavori nel terreno di contrada Sant’Anna sono stati eseguiti dalla gioia e dai sorrisi di cinque giovani che, tra una battuta e una risata hanno fatto il primo passo verso un nuovo progetto.
Lascio a voi, cari lettori, l’interpretazione di questa foto, non ci vuole molto per mettersi in gioco, basta sapersi spogliare di noi stessi, mettere da parte, anche solo per un giorno, come quel saio, tutto ciò che ci tiene inchiodati alla nostra routine per scoprire che dietro l’angolo c’è un mondo nuovo e, ahimè, ancora inesplorato.
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